Chi tifa deficit sbaglia: il debito pubblico droga l’economia

Claudio Romiti risponde all’articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi pubblicato su questo sito

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debito economia

Leggendo con una certa attenzione l’ultimo articolo di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su queste pagine, debbo ammettere di non essere riuscito a comprendere compiutamente quale sia la loro tesi. L’impressione generale è la stessa già avuta nei riguardi di altri commentatori che esprimono una simile impostazione economica; ossia l’idea che proprio in economia si possa violare il famoso principio Max Planck sul moto perpetuo. Ciò nel senso di riuscire a generare crescita e sviluppo attraverso una qualche alchimia finanziaria elaborata a tavolino.

In questo caso l’alchimia, che i sistemi ben poco frugali come il nostro utilizzano da lungo tempo, non è altro che un disinvolto – se così lo vogliamo definire – utilizzo dell’indebitamento pubblico per far quadrare i conti dello Stato. Sostanzialmente nello stesso articolo è contenuta un elemento piuttosto condivisibile, relativamente all’effetto positivo che, soprattutto dopo la follia delle autolesionistiche restrizioni sanitarie per una pandemia a bassa letalità, l’esplosione dello stesso indebitamento ha avuto sul piano della crescita.

Credo che non si possa contestare il fatto che il combinato disposto della valanga di nuovi debiti e di forsennate iniezioni di liquidità operate dalla Bce abbiano, come sostengono Becchi e Zibordi, mosso l’economia. Invero, di base tutto questo è facilmente sperimentabile anche a livello di una piccola impresa con pochi dipendenti. Essa, infatti, anche senza aver aumentato di un euro la sua produttività complessiva, decidendo di finanziare a debito l’acquisto di un elicottero per il titolare e di migliorare il reddito dei propri salariati con una congrua gratifica natalizia, potrebbe riuscire ad ottenere un ingente prestito dalla banca, facendo però salire ulteriormente il già alto indebitamento aziendale.

Tuttavia, cosa impossibile per un soggetto privato, lo Stato italiano è riuscito a tenere relativamente sotto controllo il rapporto debito/Pil, esploso nella prima fase della pandemia, perché le stesse continue iniezioni di liquidità realizzate a nostro favore dalla Bce hanno determinato una preoccupante impennata dell’inflazione la quale, però, ha consentito una forte crescita nominale del Pil – crescita che a mio avviso non viene mai adeguatamente corretta dal deflatore – scaricando di fatto sul sistema complessivo i costi reali di una crescita eccessivamente drogata dal debito pubblico.

Ora, se fosse vero che basta far girare i soldi, che secondo gli autori succitati non sono mai scarsi, non si comprende per quale motivo tutte le principali banche centrali del mondo, dopo l’ubriacatura dell’helicopter money di questi anni, abbiano all’unisono reso ben più caro il costo del denaro.

Forse, ma è solo la teoria di qualche liberale visionario, lo avranno fatto perché nel rapporto tra economia e finanza tutto si tiene alla fine. Nel senso che se inverti l’ordine dei fattori tra i beni e i servizi prodotti dall’economia, sempre scarsi per definizione, e la quantità di moneta circolante, aumentandone il livello attraverso l’effettiva monetizzazione dei nuovi debiti, per un periodo è possibile far crescere la stessa economia, solo che poi alla fine l’inflazione e l’accresciuto costo dell’indebitamento pubblico si incaricano di far pagare a tutti un conto molto salato.

Claudio Romiti, 9 marzo 2024

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