Sia sacrificato anche Freud. E il Blues venga offerto sull’altare della divinità Rula, a disposizione del fiero pasto di Murgia Kallella. Siamo oltre l’idiozia: un telecronista di una emittente privata vicentina chiama “negro” un calciatore di colore, certo Greco, si corregge subito, è palese il lapsus verbale, è chiarissima (absit injuria verbis) l’intenzione di non irridere nessuno, cioè non c’è intenzione, neppure la più pallida ombra di intenzione, ma lo sciagurato Stefano Carta si fotte il posto: manco finisce la partita che già piovono pietre, quasi l’avesse linciato il povero black, fino, addirittura, all’interrogazione parlamentare, proposta da certo senatore Zanettin, o forse era Zampolin, quello di Vacanze di Natale, di Forza Italia, sulla cui metamorfosi sinistra non sussistono più dubbi di sorta.
Linciato per un lapsus
E che cazzo, però, titolerebbe Osho. Al grottesco ci siamo già arrivati, a superarlo pensa la piattaforma televisiva Eleven Sports, con un comunicato farneticante: sappiamo che il nostro telecronista si è semplicemente confuso (alla fine, mettetela come vi pare, ma tra Negro e Greco ci può stare, ndr), però lo puniamo lo stesso: sospeso. Viva la democrazia, la tutela del lavoro, bando alle sfumature: basta a un richiamo, ma che diavolo combini? Vedi di stare più attento. Ma vai, subito crocifisso in sala mensa. Ma perché limitarsi, perché non anche cento frustate? Dove non soccorre il buon senso, la lealtà muore. E non si capisce più se sia malafede o stupidità quella di tutte le parti in causa qui. Dove andremo a finire? Si chiederà qualcuno; siamo già finiti, risponde il cronista.
Dicevamo del Blues. La culla di tutta la musica, negra che più negra non si può. Ma che facciamo? Lo diciamo, con l’orgoglio di chi il Blues lo ama e gli tributa quello che merita, o facciamo finta che tutto questo non esista? Perché nascondere le matrici della musica americana, derivata dai ritmi tribali africani, glissarle, equivale a rinnegare un patrimonio dell’umanità. Un patrimonio negro. Negro: hanno proibito una parola bellissima, densa di fascino, di tradizione, di magia (blanca y negra), di arte, di sogni, di incubi, di mistero, di sensualità, e per cosa? Per questa malafede isterica, che deve sempre superarsi. Per lo zelo degli imbecilli. Per l’intolleranza degli inclusivi. È solo un esempio, serve a capire che le mascherine non ce le toglieremo più, dalla mente anzitutto.
Quel non poter vedere. Quel non volere dire. Quel non osare più raccontare
Razzismo al contrario
Citavo poco fa Vacanze di Natale, non per caso: 40 anni che lo amiamo, ma oggi non sarebbe potuto nascere, abortito al raschiamento delle buone intenzioni, buone al modo dei gesuiti. E non voler vedere significa truccare le cose, imputtanare la realtà. Se il lapsus, evidentemente in buona fede, di uno speaker serve a lapidarlo, cosa si può salvare? E non si salva. Un clan familiare, riconducibile a un deputato cialtrone di colore imposto dalla sinistra neocomunista, fa sparire 63 milioni di euro? Il paraculo con gli stivali fornisce spiegazioni inverosimili, offre una “narrazione” di sé che fa a pugni con qualsiasi realtà? Saltano subito fuori i pagliacci a dire: “Ah, lo perseguitano in quanto nero”. Ed è, questo loro, il razzismo alla rovescia degli imbecilli, se il clan fosse stato bianco, con la metà delle accuse che lo raggiungono, sarebbe già in galera al completo.
Ma tutti sanno che la stessa magistratura di sinistra che legittima il regime eversivo di Draghi e Speranza, con la regia di Mattarella, che avalla il Trainspotting vaccinale, sul clan di colore ci va piano, non volendo esporsi. Dove sta il razzismo? Nelle nostre città, nei nostri villaggi la convivenza tra pigmenti diversi è acquisita, più per la tolleranza dei pallidi che per la civiltà degli ospiti. Episodi di intolleranza, di balordaggine non mancano, come è fisiologico in una società incasinata, ma parlare di discriminazione da parte, sia detto in senso dispregiativo fin che volete, bianca, è un falso cronachistico e ormai cronico. Chi delinque, chi abusa, chi ruba case gode di un salvacondotto senza senso riferito al colore più o meno scuro della sua pelle, e rivendica e ottiene, subito, senza fare la fila, diritti negati ai più.
Razzismo come passe-partout
La realtà è questa, il razzismo omnibus è una cialtronata passe-partout per chi mente sapendolo, più o meno come l’urfascismo di quel mediocre, sopravvalutato intellettuale organico che fu Umberto Eco. In ogni caso, non è togliendo il lavoro a un povero cristo che si è confuso che si risolve la faccenda. Ogni faccenda. Il video è lì, ed è allucinante il modo di ragionare, di punire, di stracciarsi le vesti di tutti questi sepolcri imbiancati.
Sto scrivendo queste note a bordo di un treno regionale che mi porta a Ancona. Pieno di gente di colore perfettamente a suo agio, le differenze di percezione si dissolvono perché non esistono. Tranne nel caso di uno seduto quasi di fronte a me, erculeo. Ha i piedi nudi per aria, Lens scarpe dimenticate sotto il sedile, mi guarda torvo, con aria di sfida. Reggo lo sguardo, chissà cosa farebbe se sapesse che sto parlando di lui, della sua incivile arroganza che il coglione di turno farebbe passare per martirio. Arriva la controllora e, come è giusto, mi chiede il biglietto. Poi guarda l’altro e, saggiamente, tira dritto.
Max Del Papa, 3 dicembre 2022