Meloni al maschile

“Chiamatemi il Presidente”. Che goduria la Meloni che snobba le femministe

La leader di FdI si farà chiamare “il presidente del Consiglio”. E la sinistra già frigna

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Siamo al punto che se Giorgia Meloni sceglie il “maschile” il tutto diventa “un caso”. In realtà, non dovrebbe sorprendere: la leader di FdI da tempo si firma come “il presidente di Fratelli d’Italia”, preferendo la declinazione al maschile per i ruoli istituzionali che riceve. Questo la rende meno femminile? No, ovviamente. Meno femminista? Forse sì, se per femminismo (isterico) s’intende quello delle Murgie varie, convinte che la rivoluzione in rosa si faccia a suon di “asterischi”, “Schwa” e diavolerie varie in lingua scritta e parlata.

La prima donna presidente del Consiglio ha dunque scelto di definirsi “il” presidente del Consiglio e non “la” presidente del Consiglio. Men che meno si farà chiamare “presidenta”, “presidentessa” o quello che è. Lo si è capito dai primi dispacci diffusi dai suoi uffici stampa, molto attenti su questo fronte.

Che la cosa non piaccia a sinistra non è una novità, ovviamente. Tanto che Repubblica ne monta “un caso”, tirando fuori le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana redatte 35 anni fa da Alma Sabatini. Laura Boldrini ovviamente non concorda: “Il partito si chiama Fratelli d’Italia, il tutto è rivolto al maschile, non c’è un riconoscimento vero nelle sue politiche del femminile, nel linguaggio e nel concreto”. Tralasciando il fatto che ad applicare questo ragionamento saremmo costretti a rivedere pure l’Inno di Mameli, sfacciatamente maschilista, su un punto l’ex presidente della Camera sbaglia.

“La forma è sostanza”, dice. Spesso è vero, ma non in questo caso dove la “forma” (la declinazione al femminile) pare piuttosto ideologia. Boldrini mise al centro della sua sfida politica questa battaglia lessicale: legittimo, per carità. Ma mentre lei si scornava per la declinazione femminile, aprendo di fatto la strada ad altri obbrobri “neutri” come l’asterisco e la schwa, Meloni lavorava per dare al Paese il primo presidente del Consiglio donna. Senza sfruttare le quote rosa. Senza mai chiedere chissà cosa in termini linguistici. Senza vergogna di definirsi “donna e madre”. Senza eccessivi vittimismi tipici di chi ritiene ogni critica rivolta ad una signora un affronto patriarcale. E questa sì che è sostanza, oltre ogni ideologia.

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