C’è qualcosa che infastidisce, che stride e stride molto nel modo in cui il Codacons dell’instancabile Rienzi intende chiudere i conti con l’altra metà dei Ferragnez. Ricordate? Quella che dietro la parvenza della solidarietà per i piccoli malati di cancro, dirottava a se stessa la beneficenza milionaria raccolta con pandori pagati il triplo, motivo per cui il Codacons la querelava a nome di un imprecisato numero di incauti consumatori di balle; non sazia, la così chiamata (im)prenditrice digitale ci riprovava con le uova pasquali, sempre sulla pelle di bambini sfortunati.
Uno sputtanamento colossale, una rovina d’immagine e quindi d’affari, e la magistratura a scavare: un anno dopo, questo simbolo dei nostri tempi, volto di una start up che si voleva innovativa mentre era la solita faccenda vecchia come il mondo, trova l’accordo proprio col Rienzi, l’acerrimo nemico, quello che definiva lei e il marito Fedez “ignoranti, delinquenti e profittatori”. Testuale. Ma era un altro momento, come sempre: l’accordo sta nel versamento di duecentomila euro a titolo “beneficenza” a un ente scelto di comune accordo, oltre a risarcire gli ingenui o i fanatici che avevano pagato dieci euro un dolce che ne costava tre solo perché sulla confezione c’era la faccetta di Chiara.
Tutto questo stride come le unghie, lunghissime, smaltate oro, sul vetro. Stride anzitutto per la disinvoltura con cui una storia miserabile, comunque la si voglia vedere, viene chiusa o si pretende di chiuderla: già l’uomo-Codacons, dopo anni di furibondi dispetti e insulti incrociati col rapper amico dei pendagli da curva, si faceva vedere a scambiarsi le maglie, abbracciati, impastoiati, come niente fosse; a che gioco gioca questo Rienzi? Così si tutelano i consumatori?
Sì, d’accordo, Ferragni promette di risarcirli, ma basta la logica italianesca del “chi ha avuto ha avuto” a cancellare tutto di una simile vicenda? Col bel risultato che la stessa procura finirà per archiviare e chi s’è visto s’è visto. Ma qui non si decide solo di una asserita truffa da un milione, qui si parla di una operazione opaca, dai tratti di una spregiudicatezza spaventosa, che l’interessata tentò di liquidare con un video vittimistico, “ho fatto un errore di comunicazione”. Quanto a dire, mi son fatta beccare. Un errore che le è costato la damnatio memoriae, per sempre il nome di Chiara Ferragni resterà legato alla beneficenza fasulla, egoriferita, sui crani lucidi di piccoli malati oncologici, cosa che neppure gli sponsor più cinici si sono sentiti di digerire. Mollandola uno dopo l’altro.
La logica ricorda quel detto siciliano, “con i soldi e l’amicizia, si va in culo alla giustizia”. I soldi alla ex bambina prodigio formato social non mancano, gli amici sono quelli del Codacons? Tutto è perdonato, basta versare un duecentomila a qualche attività “contro la violenza sulle donne”: così funziona oggi la moda, se anche quell’altro, il Tony Effe in fama di martire che dopo lo scazzo con la giunta capitolina per i suoi testi ‘sessisti’, promette di devolvere l’incasso del suo concerto personale al Palaeur alle donne violentate. Non fa rivoltare lo stomaco?
Questa, sarebbe beneficenza? Alla Bill Gates, alla Soros, che appena la fanno, detraendola dalle tasse, deve saperlo il mondo intero? Ferragni ne ha un concetto coerente, come quando voleva chiudere la storia coprendo la multa con il milione incassato sulla confusione pubblicitaria: qualcosa che se va bene resta in cassa e se va male serve a risolvere i guai. Ma può decentemente chiamarsi beneficenza una partita di giro per risolvere le proprie pendenze e scabrose pendenze? Basta, soprattutto, a rifarsi una verginità morale?
Sì, d’accordo, i tempi sono quelli che sono, di saltimbanchi e illusionisti, di cantanti senza talento e imprenditrici senza imprenditoria che vanno a Sanremo a rifarsi la faccia (e invece la perdono), ma a vien da pensare che il brutto del mondo, donne ammazzate o rovinate, bambini terminali, poveri cristi in croce, se non ci fosse andrebbe creato, andrebbe inventato per le scappatoie e i miraggi dei privilegiati, degli imbonitori, dei cinici, delle multinazionali del “bene” dentro ad ogni regime, ogni telegiornale di regime, ogni business umanitario.
Stiamo, questo è chiaro, facendo un discorso generale, registrando una tendenza che sembra irreversibile e destinata solo a peggiorare, fatalmente. Se solo si pensa a quella influencer che un anno fa si faceva fare un servizio fotografico fingendosi malata di cancro, le braccia raggiunte da un intrico di tubicini al cui estremo non stavano le sacche orrende della chemio ma alcune borse griffate; e quando le facevano notare che quella esibizione era come minimo di pessimo gusto, la sciagurata rispondeva, testuale anche qui: “Caz** vostri che siete dei poveracci senza un minimo di ironia”. Ironia! La formula che tutto giustifica, il passepartout per qualsiasi carognata o bassezza. Ma che ironia si possa trovare in una campagna pubblicitaria per disorientare i polli, indotti a credere di finanziare costosi macchinari per i bambini col cancro, mentre finivano per sostenere i forzieri di una trentenne con l’attico da mille metri a City Life, è difficile capire. E più difficile è mandar giù l’ennesimo pappa e ciccia che chiude i conti, un assegno da duecentomila euro a titolo di beneficenza, non si sa bene a chi, comunque sempre a favore di chi lo stacca.
Max Del Papa, 29 dicembre 2024
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