Dicono quelli che sanno campare di balle, che in Italia ci sarebbe una dittatura nazista che impedisce ai democratici di esprimersi. I democratici sarebbero quelli che pretendono libertà di definire la presidente del Consiglio letteralmente vacca, aguzzina, figlia di Hitler e magari di guadagnarci già che ci sono. Allora, vediamo. C’è questo Zaki l’egiziano che da quando è stato salvato dall’Egitto dalla suddetta premier, neppure mai ringraziata, subito snobbata, in una grottesca leggenda di martirio eroico subito rivelatasi farsa. C’è questo Zaki dicevamo che non ha mai smesso con la sua propaganda a fini elettorali. Difatti da un anno se lo litigano come un tesoro dell’umanità.
Gli hanno dato una laurea in gender a Bologna, ovviamente cum laude, gli hanno dato un master alla Normale di Pisa, e non stupisce, neanche se questo non spiccica una parola d’italiano, tanto contano le idee, anzi le ideologie. Conta il messaggio. Siccome c’è il regime, Zaki l’egiziano può girare, invitato tra festival e rassegne, sostenendo la causa palestinese, più precisamente i compagni studenti che bloccano le facoltà in nome di Hamas. E nessuno fiata. Zaki può sponsorizzare la compagna Salis, detenuta in Ungheria, e può sostenerla come soggetto che -stando alle accuse- in nome dell’antifascismo andava in giro per l’Europa a cercare malcapitati da sfasciare insieme a un commando di suoi simili. Secondo le indicazioni di quell’altro simpatico personaggio che risponde al nome di Christian Raimo, altro candidando a tutto, indisturbato. E nessuno fa un plissè.
Ovviamente, essendo in perenne campagna elettorale, Zaki non trascura il ridicolo, fallimentare sciopero dell’Usigrai, che ha dimostrato quanto sia superflua e magari deleteria una buona parte di impiegati nel pubblico servizio (ieri per spiegare la ignobile ritirata di Astrazeneca si son sentite cose rivoltanti, pareva fosse tutta e solo colpa dei famigerati novax). E tutti ascoltano in religioso rapimento, guai a sollevare un sopracciglio. Il gran finale di Zaki non può mancare e non può non essere per i migranti, in modo del tutto cialtronesco, apodittico, prendeteli tutti perché io pure sono migrante. Questo Zaki racchiude tutte le categorie del postcomunismo che piace a quelli che campano delle loro frottole: migrante, martire, palestinese di ritorno, genderizzato, antifà. E nessuno che osa contraddirlo. Però qui c’è il regime, c’è telemeloni e ci sono le camicie brune che ti vengono a prendere. Non in Egitto, qui.
Vengono a prendere il compagno Zaki, dopo esserselo andato a prendere nell’Egitto natio, e lo portano in processione come un santino della cialtronaggine comunistoide. Se ci fosse davvero la fosca, tetra dittatura che dicono, tanta propaganda non scorrerebbe libera e bella e magari premiata. Intanto, lo Zaki potrebbe provare a spiegarci, così, per variare un poco, ma forse neppure troppo, per quali rotte, canali e organizzazioni arriva anche in Italia il temutissimo, ma non da tutti, Fentanyl: amen. Sono di quelle cose che poi si vengono a sapere sempre un po’ troppo tardi, comunque siamo di fronte a un tristissimo, avvilente esercizio di propaganda egoriferita, insomma di arrivismo: niente di nuovo sotto al sole, con la variante, non da poco, del condimento pseudovirtuoso, falso valoriale, della militanza forsennata e irresponsabile in forma di ricatto morale: ditegli qualcosa, a lui, povero martire.
Avevamo proprio bisogno di questo signore dietro la maschera del pacioccone bonario? Serviva un arruffapopolo nei collettivi, nei centri sociali, nei gruppi organizzati di balordi e di intolleranti sparsi tra le scuole e le università? Questa è gente cui della Palestina importa meno di niente ed è gente coordinata e alimentata dalla sinistra per l’eterna vaneggiante opera di riesumazione del comunismo rivoluzionario; Gaza, la Palestina è il pretesto del giorno, dietro c’è il sostegno ad Hamas, la voglia di incendiare la prateria anche qua, c’è la provocazione insistita e sempre crescente, che non può fermarsi. Meloni forse fa bene a tollerare tutto questo, a non offrire sponde, o forse no, forse potrebbe trovare un limite prima che la faccenda sfugga di mano, perché è garantito che non andrà a finire bene. Però che lo stato di cose presente sia una dittatura, lo possono sostenere gli Augias, i Canfora, gli Scurati e gli altri sparafucile del sovversivismo intellettuale.
La verità essendo che se regime c’è, resta il solito della dittatura del pensiero balordo di estrema sinistra, antisemita, filoterrorista, connesso al disordine strategico, complice delle tratte umane, indifferente e magari compiaciuto di fronte al degrado, alla perdita di controllo nelle città: anche la scorsa notte, a Lambrate di Milano, poco più di un chilometro da piazzale Loreto, un poliziotto accoltellato quasi a morte da un marocchino pericoloso e pluripregiudicato. E pare normale e lo è, nessuno fiata, non i milanesi, non Zaki l’egiziano, i primi per rassegnazione, per saturazione, l’altro per convenienza. Certo, uno così di per sé conta poco, ma è indicativo di una situazione, di un costume nazionale francamente indecente, che diventa ignobile sentendo i tromboni dell’antifascismo recitato sostenere, senza tremare, che qui siamo chiusi in una dittatura a svastica, spietata, feroce.
Oggi, capite? Oggi, mica due o tre anni fa, quando tutti questi tromboni avallavano una strana democrazia che chiudeva tutti dentro, li costringeva a vaccinarsi, le ragazzine di 18 anni cadevano stecchite e (come abbiamo scoperto) dalle istituzioni somme si ponevano il problema di come coprire, come mentire, qualcuno anche ridendo.
Max Del Papa, 9 maggio 2024
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