Sul web circola l’appello di un manipolo di intellettuali a difesa della maggioranza rossogialla. Nel loro panegirico filogovernativo si esibiscono in una gimkana logica, accusando la regionalizzazione e privatizzazione (parziale) del sistema sanitario come fonte delle difficoltà nella gestione dell’emergenza pandemica. Nessuna critica è rivolta al Continente-focolaio cinese da cui si è generato il virus nell’evidente imbarazzo di non poter contestare la culla dell’ideologia comunista, a cui dedicarono gli entusiasmi di gioventù, che continuano a coccolare con il languore nostalgico della senescenza.
Il predicozzo di intonazione morale non è rivolto ai volgari sovranisti, ma ai democratici dell’orbita progressista sospettati di collateralismo con il nemico, avendo osato censurare l’abuso di atti amministrativi ministeriali che, aggirando il controllo delle Camere e del presidente della Repubblica, stanno vulnerando la sostanza della democrazia con le limitazioni alle libertà fondamentali. Gli intellettuali sottoscrittori dell’appello, fra cui Marco Revelli, Piero Ignazi e Stefano Bonaga, in difesa del governo si dispongono in postazione protettiva, in una sorta di cavallo di frisia, per respingere gli agguati nei confronti del premier Conte, omettendone la bulimia di decreti che si è sottratta al circuito del sindacato parlamentare che sta provocando l’anoressia dei controlli democratici. Ma i tutori del governo pare non si siano accorti delle inibizioni che da due mesi si manifestano sulla libertà di circolazione (art. 16 Cost.), di riunione (art. 17 Cost.), di associazione (art. 18 Cost.), di esercizio dei culti religiosi (art. 19 Cost.), di insegnamento e istruzione (artt. 33 e 34 Cost.) e dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.).
Per la legione intellettualistica al servizio del governo anche la precisazione del presidente della Corte costituzionale, sulla indisponibilità della Carta ad essere sottoposta ad una parentesi di sospensione, rientra fra gli agguati contro il l’avvocato di Volturara Appula? Certi intellettuali demodè si arrogano un’autorità di pensiero che sconfina nell’arroganza e nel disprezzo di chi dissente dal loro punto di vista, tanto che nel documento i loro “affini”, solo per aver espresso una divergenza sulle modalità di gestione della crisi, vengono qualificati come «segmento problematico del ceto intellettuale che danneggia il Paese». Orsù, professori intellettuali avete sempre strimpellato il refrain della Costituzione più bella del mondo e adesso con puntuale convenienza ne tacitate i valori quando a sacrificarli sono i vostri beniamini di turno. Avete sempre sventolato il certificato di sana e robusta Costituzione, ma in un raptus di reiterata e indimostrata superiorità lo accartocciate e cestinate per elevarvi al di sopra della venerata Carta.
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte non sta subendo agguati ma una legittima critica alla sua inconcludenza e agli abusi sulla riserva di legge che dovrebbe agire su determinate materie, semmai le imboscate le stanno soffrendo gli italiani che attendono dai blateranti annunci del premier la Cig, il sussidio di 600 euro e la potenza di fuoco di 400 miliardi di euro proclamata con la consueta enfasi recitativa. Conte ha saturato i ricettori uditivi e visivi dei cittadini, da due mesi in domicilio coatto, con le sue dichiarazioni imbottite da un ottimismo teorico non confortato dai fatti.
Gli ausiliari “illuminati” rammentino i timori del filosofo Nicolas de Condorcet: «Il dispotismo vive di ideologia dell’immediatezza. Il senso del Parlamento è proprio quello di moderare la velocità delle decisioni che l’Esecutivo propone. Se la decisione deve essere immediata, come sul campo di battaglia a decidere è il generale».
Finora il generale ha deciso con la raffica di decreti senza risultati tangibili. È il momento di conferire i gradi del comando a chi può coagulare la sinergia delle forze parlamentari verso un progetto di rinascita collettiva.
Andrea Amata per Il Tempo, 3 maggio 2020