Agenti sotto copertura pronti alla caccia dell’Italia corrotta. Sarebbero già circa più di trecento, distribuiti sull’intero territorio nazionale, per sgominare possibili infedeli nei ministeri, nei tribunali, nelle grandi ex municipalizzate come l’Anas o nei gangli vitali delle regioni e dei comuni. Ed è già panico, nessuno firmerà più nulla. L’addestramento delle nuove talpe dell’era 2020 sarebbe completato. Ad essere reclutati nel nuovo format governativo di giustizia esemplare non solo militari, poliziotti o finanzieri, ma anche ex dipendenti di società magari in pensione o licenziati, capaci di muoversi sotto copertura e carpire informazioni imbarazzanti dai loro vecchi colleghi, pronti a far rapporto alle superiori autorità.
E così, dopo i trojan negli smartphone e il pasticcio brutto sulla prescrizione, la società italiana è sempre più simile al film Premio Oscar “Le vite degli altri”, sullo sfondo della Berlino Est controllata dalle spie della Stasi, la temutissima organizzazione di sicurezza e spionaggio della Germania dell’Est. E poco importa se uno come Raffaele Cantone, ex presidente dell’Anac, pochi anni fa aveva evidenziato la pericolosità e antidemocraticità degli agenti provocatori molto simile agli agenti sotto copertura scrivendo: “Le ragioni che suggeriscono di utilizzare la massima prudenza per gli agenti provocatori sono molteplici e, in ultima analisi, si richiamano all’esigenza, insopprimibile, di garantire il rispetto di diritti fondamentali del cittadino di fronte alla giustizia penale.
Non è questione di garantismo, bensì di ossequio ai principi dello Stato di diritto delineato dalla Costituzione (…) anche perché il compito della giustizia penale è punire (e perseguire) coloro che hanno commesso reati, cioè fatti socialmente dannosi, non coloro che si mostrano propensi a commetterne”. Agenti infiltrati, questa è l’Italia voluta dal premier Giuseppe Conte, che nemmeno due anni fa si era proclamato, ironia del destino, l’avvocato degli italiani, e che ora si è trasformato in garante assoluto di un accordo manettaro tra il Pd e il Movimento 5 Stelle. E, per fermare questa deriva giustizialista, si era levata con forza la voce di Matteo Renzi, che con il suo nuovo partito, capace di guardare verso un’area cattolica e di centro, ha scosso il pantano della politica.
Per ora, tuttavia, con il suo voto al Senato, ha detto sì al provvedimento sulle intercettazioni, che dà la possibilità di infiltrare “a pioggia” i trojan a discrezione dei Pm, mentre sulla prescrizione e sulla mozione di sfiducia al ministro Bonafede, solo qualche pizzino, al momento. Per Renzi è davvero l’ultima occasione per riguadagnare credibilità davanti all’elettorato di centro e alla base produttiva del Paese, sempre più interdetta e sconcertata. Per il momento, è riuscito solo a rafforzare il premier multicolor Conte, capace di passare con disinvoltura dal verde al rosso e, magari, ora anche verso l’azzurro di quel poco che resta di Forza Italia. Ma si sta portando avanti con il lavoro.
Visto che i cosiddetti responsabili come gruppo autonomo non esistono, sta cercando, assieme ad alcuni del suo contado (l’irpino Gerardo Capozza, il sottosegretario tarantino al CIPE Mario Turco e al suo compagno di viaggio Rocco Casalino), di arruolarli uno a uno, millantando spesso una benedizione del Vaticano che, a parte quella di qualche monsignore in libera uscita, proprio non esiste.
Mattarella ormai comincia a convincersi che l’uscita di scena del solo Conte rasserenerebbe l’aria fetida di questo periodo ed è probabilmente l’unica strada per evitare le elezioni anticipate ed uscire dalla totale paralisi di questo Esecutivo. Al Quirinale, tra i nomi in lizza per il nuovo premier, il solito Mario Draghi, indisponibile, i ministri Gualtieri, Franceschini o Guerini, ma anche, a sorpresa, potrebbe spuntare lo stesso segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Ai grillini pur di non tornare a votare, ormai va bene chiunque. Basta che respiri.
Luigi Bisignani per Il Tempo 23 febbraio 2020