“Fate cinque figli, il futuro dell’Europa è vostro” disse il presidente turco Erdogan nel 2017 ai musulmani residenti in Europa, una dichiarazione che seguiva quella dell’algerino Boumedienne nel 1974 all’Onu: “Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”.
Di sicuro il tema della demografia sarà centrale nei prossimi decenni e sembra essersene accorta, con colpevole ritardo e con soluzioni tutte da chiarire e approfondire, anche l’Unione europea.
L’emergenza coronavirus è stata l’occasione per avviare una riflessione più strutturata sui temi demografici in Europa attraverso un report promosso dal vicepresidente della Commissione europea Dubravka Šuica poiché: “la crisi ha messo in luce molte vulnerabilità, alcune delle quali sono legate al profondo cambiamento demografico che già colpisce le nostre società e comunità in tutta Europa”.
Ci sono due strade per cercare di contrastare la crisi demografica e l’invecchiamento della popolazione in Occidente: promuovere politiche a favore della natalità cercando di invertire il drammatico calo di nascite dell’Italia e dell’Europa, oppure aumentare i flussi migratori come compensazione per l’invecchiamento della popolazione.
I dati sulla natalità che emergono dal report dell’Ue sono preoccupanti e nascondono una questione sia di carattere sociale sia culturale poiché l’Occidente è sempre più dominato da una visione neomalthusiana che, unita a un modello di società basato sulla tecnica, sui consumi e sulla delegittimazione del ruolo della famiglia, ha portato negli ultimi decenni a un crollo delle nascite. In parallelo abbiamo assistito a un aumento dell’età medi della popolazione europea (con conseguenze di carattere socio-economico), mentre in altre aree del mondo (l’Africa in primis), i tassi di natalità sono in costante e vertiginosa crescita.