Dopo aver più volte tentato di far ripartire la macchina infernale del terrore con le ultime varianti del Sars-Cov-2, i professionisti della paura dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci riprovano con il cosiddetto vaiolo delle scimmie.
E non è la prima volta, dato che il 22 luglio 2022, quando l’infezione aveva già colpito quasi 17.000 individui in 74 paesi, il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Ghebreyesus, definì il vaiolo delle scimmie una emergenza sanitaria globale, portando l’allerta verso questa infezione al livello massimo. Nonostante il comitato scientifico preposto non avesse trovato un consenso in merito a tale dichiarazione, Ghebreyesus avrebbe preso tale decisione allo scopo di sensibilizzare la comunità internazionale e a spingerla a prendere adeguati provvedimenti.
Ebbene, a distanza di due anni ci risiamo, ancora una volta è stato lo stesso immunologo, nonché politico etiope a dare l’annuncio di questa ennesima emergenza globale, in cui ovviamente non poteva mancare un forte richiamo all’esigenza di produrre una adeguata quantità di “nuovi” vaccini.
Secondo Ghebreyesus, “il rilevamento e la rapida diffusione di un nuovo clade di mpox nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, il suo rilevamento nei Paesi vicini che non avevano precedentemente segnalato la malattia, e il rischio di un’ulteriore diffusione in Africa e oltre sono molto preoccupanti”. Tant’è che, come riportano con una certa enfasi i nostri giornaloni, sempre più specializzati proprio nel terrorismo virale, in Svezia sarebbe stato scoperto il primo caso di una variante del vaiolo delle scimmie, che si presume più pericolosa, al di fuori del Continente africano. Secondo l’Agenzia svedese per la sanità pubblica, “ad una persona è stato diagnosticato a Stoccolma il morbo causato dalla variante Clade 1. È il primo caso causato dal Clade I ad essere diagnosticato al di fuori del continente africano”.
Tuttavia, così come hanno fatto durante l’epopea del Covid-19, gli svedesi hanno adottato un approccio assolutamente ragionevole, evitando i dannosi allarmismi che hanno caratterizzato altri Paesi, con il testa il nostro, come dimostra la dichiarazione del loro ministro della Salute, Jakob Forssmed: “Credo che la situazione sia seria, ma non c’è motivo di allarmarsi: il rischio di infezione è basso. Siamo ben preparati e i servizi sanitari dispongono di buone procedure in materia. È una malattia conosciuta. Ci sono vaccini e abbiamo vaccini in magazzino.”
Anche Matteo Bassetti, uno dei virologi più ascoltati durante il Covid, cerca di minimizzare l’allarme, anche se egli sostiene che con questa variante sarebbe cambiata l’epidemiologia, con “una malattia più grave e più virulenta”. In particolare, secondo direttore del reparto di malattie infettive del San Martino di Genova, “bisogna sensibilizzare tutti in tutto il mondo. Non si tratta più di un problema della Repubblica popolare del Congo.”
Anche in una lunga e un po’ contraddittoria intervista rilasciata dal dottor Andrea Antinori, infettivologo dello Spallanzani di Roma, al Corriere della Sera, si tende a minimizzare il problema, circoscrivendolo, così come sarebbe dovuto accadere il per il Covid, ad un rischio reale per le persone immunodepresse, tanto per cambiare.
Inoltre, nel analizzare la questione, in merito alle modalità del contagio, abbiamo trovato una certa discrepanza il nostro Istituto Superiore di Sanità e il parere di gran parte degli esperti interpellati dalla stampa. In sintesi, per questi ultimi, compreso lo stesso Antinori, “il contagio del virus Mpox avviene principalmente attraverso il contatto stretto con cute e mucose infette, quindi soprattutto durante i rapporti sessuali ma anche tramite il contatto di materiale contaminato (per esempio: vestiti, lenzuola, asciugamani) con le lesioni cutanee infette”. L’Iss, al contrario, abbassa l’asticella, sostenendo che pure un contatto prolungato faccia a faccia, con la classica emissione di droplet, comporterebbe la possibilità di trasmettere il virus.
Come, dire, nel campo del terrore mirale è sempre melius abundare quam deficere, anche quando il rischio per le persone in buona salute è prossimo allo zero.
Claudio Romiti, 16 agosto 2024
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