Cultura, tv e spettacoli

Ciaone Rula, Ferragni e fluidi vari: viva Sanremo senza baracconate

Il Festival 2025 si distingue per la sobrietà in perfetto stile Carlo Conti. Bene così: l’Ariston non ne ha bisogno

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Quando, mi pare intorno a settembre, Simone Cristicchi mi ha mandato la sua canzone per Sanremo, gli ho detto: bella, ma con questa non vincerai mai. Lui: non vado a vincere, non devo vincere. Lì per lì non lo capivo, pensavo: ma che bisogno ha questo, con una carriera lanciatissima di teatrante, con degli spettacoli seri, raffinati, di tornare in quel baraccone? Poi vedendolo sul palco esitare sul cornicione della commozione, ho capito: era per la madre, voleva dire a tutti e in particolare alla madre il suo panico per questa madre dalla mente che sfugge come un volo di farfalle. Ci sono passato e di colpo tutto era chiaro, tutto era comprensibile, condivisibile. Cristicchi sera dopo sera prende le misure a un brano pericoloso, che ti può tradire, e ha fatto sapere che la canzone era pronta da 5 anni ma Amadeus non voleva saperne; ha aggiunto, in una sorta di ingenuità velenosa: meglio, non sarei stato a mio agio nei suoi festival. Frase apparentemente vendicativa, per quella sorta di piccola meschinità che nutriamo tutti, e invece rivelatrice, molto rivelatrice.

A Sanremo si attaglia il detto della Genesi, “polvere siamo e polvere ritorneremo”. Ama con Ciuri, i dioscuri, i Padreterni indiscutibili, onnipotenti, arroganti, un anno dopo sono polvere e nessuno li ricorda più: Conti con la sua conduzione scialba, anestetizzante, li seppellisce di ascolti e dura, farà le prossime tre o quattro edizioni. Non succede niente quest’anno, non succedeva niente neanche negli anni dell’AmaCiuri, però qualcosa succedeva; Conti è Lampadato ma pare abbia spento la luce sugli eccessi più miserabili e vergognosi: lo sbarco trash dei Ferragnez, Rosa il Chimico che slinguazza Fedez chimico anche lui, quell’altra che non sa leggere neanche una lettera a se stessa ma fa affari, il coinvolgimento di Amazon con dispetto della Rai, le multe per uso indebito di social, i due che fanno siparietti sui novax epilettici (sarebbero cominciari a morire i provax subito dopo…), Mattarella regale, Benigni giullare che sdogana la Costituzione, che celebra la fine della repressione sanitaria, i pistolotti patetici delle Rula, delle Egonu, Travolta col ballo del qua qua e sotto c’è un’altra sponsorizzazione proibita. Allora si diceva che era tutto funzionale allo show, ma oggi scopriamo che si può fare spettacolo, per modo di dire, diciamo intrattenimento, anche facendo a meno di certo avanspettacolo, di certi salti nell’abisso e la gente non se ne accorge, non se ne disturba, comunque sia premia.

Conti non è un rivoluzionario, è un uomo d’ordine e non tocca la formula, la depura soltanto; prende Malgioglio e ne fa una divetta dal trash innocuo ma perfino gradevole, lascia facoltà a Frassica che sa quali sono i limiti, e tutto fila fin troppo liscio. Per dire che l’ex deejay toscano rispetta la continuità del conformismo perbenista fascistoide per cui tutti si vogliono bene e fingono borghesissimi ritegni, la manina sulla bocca, i falsi sconcerti, però attenzione: qui si travasano i personaggi ma totalmente ripuliti, normalizzati. Il Fedez con le lenti nere che gli fanno gli occhi fondi come laghi immoti, che espone i suoi tormenti da giovane Werther, è improbabile ma un altro rispetto a quello, fuori controllo, drogatissimo (in senso breriano) che strappava le foto dei Fratelli d’Italia e incominciava proprio lì la crisi, irreversibile, con la moglie socia in affari. L’Achille Lauro che si denudava non c’è più, c’è il Gagà, c’è il Gastone di Petrolini, e la gente dice: però, quasi quasi canta. Non canta, non ha i fondamenti, ma ha capito l’antifona e va bene che uno deve cambiare, deve in qualche modo evolversi, ma questo è il segno preciso della normalizzazione di Conti. Venite pure ma qui si riga dritto.

È notevole ed è un segno del regime che dura ma cambia l’approccio: la Rai resta in mano alla sovrastruttura di sinistra, i meloniani possono occuparla, infiltrarla, possono manifestare il loro potere ma una faccenda come il Festival rimane sotto il controllo moralistico del populismo di sinistra, del woke morente; però est modus in rebus e adesso certe pagliacciate non passano. Il caso di Big Mama è lampante: con Ama era oscena nell’accezione di Carmelo Bene, fuori di scena, esondante, disturbante nella sua carnalità incontrollata, qui è quasi sexy, comunque gradevole; la normalizzazione c’è sotto molti aspetti, i report sanremesi la definiscono come segue: “Big Mama, il body shaming, il cancro del sangue, il gender”: a dire che un linfoma, come il mio, viene neutralizzato, inzuppato nel gossip, e quando una malattia si neutralizza non fa paura e non ce ne si chiedono le cause. Questo è il motivo per cui io parlo di Bianca Balti come di un messaggio fuorviante.

Sanremo cambia per non cambiare, è gattopardesco nel suo conformismo di regime, ma, come la chiesa cattolica, si adegua ai tempi e ai poteri politici. Quando Cristicchi dice che con Ama e Ciuri non si sarebbe trovato bene, che gli hanno bloccato la canzone per 5 anni, sta dicendo una cosa importante, sta spiegando che a Sanremo non ci va e non vince chi è più bravo o ha la canzone migliore, ma chi ha gli sponsor più pesanti. Per dire la politica che sta dietro. Perché tutto qui è politica. Vedi la Elodie come si sbraccia: si sente insidiata dalla Villain, più stagionata ma emergente, la Villain che ritiene opportuno palesarsi come scheliniana e l’altra, la rivale anche nel coattismo regionale, capisce di aver fatto uno sbaglio nel criticarla e cerca di metterci una pezza: la Meloni mai, manco monca la voterei. Ma se è monca poi come fa a levare il pugnetto? Io non so e non credo che Cristicchi sia tornato perché ce l’ha mandato La Russa, non ne aveva bisogno; se mai certi impedimenti, certi intralci sono caduti e lui ha potuto rientrare.

A Sanremo funziona così. Che poi lui finisca per nobilitare una rassegna dove tutto è mediocre, dove si svilisce la malattia che lui canta così bene, questo quasi quasi non glielo perdono, ma tanto a lui che gli frega. Giustamente.

Max Del Papa, 13 febbraio 2025

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