Esteri

Cina, l’economia si inceppa. Cosa c’è dietro l’arresto di Pechino

Per la prima volta da 25 anni, Pechino crescerà al di sotto delle aspettative: 3 per cento contro il 5,5 per cento di crescita del Pil prevista

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2022. L’anno che segna, per la prima volta, il ridisegnamento della forza economica della Cina. Sì, perché per la prima volta dopo 25 anni, Pechino è cresciuta al di sotto delle aspettative del governo centrale, limitandosi ad una crescita pari al 3 per cento, addirittura meno della metà dell’altro colosso asiatico, l’India, che quest’anno raggiunge picchi del 7 per cento di crescita del Pil.

Causa principale, ovviamente, sono state le prolungate ultra-restrizioni anti-Covid, che lo scorso anno avevano già portato il Dragone in uno stato di stagflazione, fino ad arrivare agli esiti più estremi lo scorso dicembre, quando in numerose regioni del Paese scoppiarono proteste e rivolte violente contro le misure restrittive imposte, ininterrottamente da quasi tre anni, dal regime comunista.

Il tutto emerge dai dati appena pubblicati dall’Ufficio nazionale di statistica cinese e da Delhi, rilevati poi dal sito specializzato AsiaNews. L’obiettivo di Pechino per il 2022, infatti, era di una crescita del Pil al 5,5 per cento, due punti percentuali in meno rispetto ai dati reali. Pesano, però, anche i dazi e le sanzioni introdotte da Donald Trump, ma che Joe Biden ha voluto mantenere in questi due anni di amministrazione democratica. Anzi, queste ultime sono state ulteriormente inasprite dopo la crisi del pallone-spia cinese su cieli americani, sanzionando un istituto di ricerca e 5 società aerospaziali cinesi. Per suo conto, Pechino ha poi deciso di attuare lo stesso meccanismo con due società americane, Lockheed Martin e Raytheon, i due maggiori produttori di difesa americani, “colpevoli” di aver venduto armi a Taiwan, quale contromisura per l’abbattimento del pallone spia cinese nello spazio aereo degli Stati Uniti.

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Per la prima volta in 25 anni, inoltre, le aziende americane non considerano più la Cina tra le prime tre priorità d’investimento; 8,4 milioni di posti di lavoro nel Paese sono saltati; vi è anche una contrazione dello 0,2 per cento delle vendite al dettaglio: il secondo peggior dato dal 1968. A ciò, si aggiunge l’aumento globale dell’inflazione, oltre al continuo fenomeno di delocalizzazione delle aziende cinesi in Vietnam e negli altri Stati caratterizzati da manodopera a basso costo.

Nella sola prima metà del 2022, oltre 30 miliardi di dollari hanno lasciato la Cina per Paesi meno sviluppati, in particolare a partire dall’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Mentre il tasso di cambio Yuan-dollaro ha subito fortissimi contraccolpi, con un deprezzamento che è arrivato fino al 10 per cento. Gli stock di riserve, invece, sono stati in declino dell’8 per cento.

Intanto, nella notte, Xi Jinping ha annunciato l’apertura del Congresso nazionale del popolo. L’economia ed il potenziamento della domanda interna saranno i temi cruciali, a cui si affianca l’immancabile riunificazione con Taiwan, già menzionata dal premier Li Keqiang nel suo intervento al Congresso: “La Cina adotterà misure risolute per opporsi all’indipendenza di Taiwan e promuovere la riunificazione. A tal proposito, dobbiamo promuovere lo sviluppo pacifico delle relazioni nello Stretto di Taiwan, lo sviluppo pacifico delle relazioni tra le parti e far progredire le relazioni e il processo di riunificazione pacifica della Cina”.

Matteo Milanesi, 6 marzo 2023

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