Ora provate a immaginare cosa succederebbe se il capo di Stato Maggiore degli Stati Uniti d’America, poco dopo le elezioni, mettesse sotto sorveglianza Joe Biden perché rincitrullito, facesse un paio di telefonate ai nemici di sempre e magari facesse di tutto per togliergli i poteri sul nucleare. Verrebbe giù il finimondo, giustamente. Saremmo qui a parlare di tradimento, diserzione, magari anche golpe militare. Invece, visto che il tutto pare si sia svolto veramente, ma quando Donald Trump era presidente, i fatti passano quasi in sordina. Con i commentatori democratici americani (e non solo) pronti ad assolvere il generale di turno.
I fatti sono emersi grazie ad un libro, intitolato Peril, scritto dal famoso giornalista Bob Woodward e dal collega Robert Acosta, reporter politico del Washington Post. Mark Milley, capo di Stato Maggiore Usa, tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 prese delle decisioni a dir poco controverse per evitare che il presidente potesse intraprendere azioni militari o utilizzare gli ordigni nucleari. Convinto che dopo la sconfitta elettorale Trump fosse in preda ad un “declino mentale”, interpellò altri capi militari, la Cia e la National Security chiedendo massima sorveglianza e revisionò le procedure per il lancio delle testate nucleari così da assicurarsi di essere coinvolto nelle decisioni. Per non farsi mancare nulla, Milley avrebbe anche chiamato il suo omologo cinese, il generale Li Zuocheng, per promettergli che gli Stati Uniti non sarebbero entrati in guerra contro Pechino e non avrebbero sferrato un attacco a sorpresa.
Ludovico Seppilli, fondatore del Podcast American Pie su Spotify, tra gli animatori del blog “L’Osservatore Repubblicano”. Grande appassionato e studioso di politica USA.
I senatori repubblicani Marc Rubio e Paul Rand ne chiedono l’immediato allontanamento. E ci mancherebbe: il comandante in capo, benché sconfitto alle urne, era ancora The Donald come previsto dalla Costituzione. E non poteva certo essere sostituito dai vertici militari. Trump, dal canto suo, si è detto scettico sulla veridicità delle rivelazioni, che se fossero vere renderebbero Milly colpevole di “tradimento”: “Per la cronaca – ha detto – non ho mai nemmeno pensato di attaccare la Cina, e la Cina lo sa”.
A incuriosire sono anche le date delle telefonate che Milley avrebbe fatto a Pechino. La prima, spiegano gli autori del libro, risale al 30 ottobre, ovvero alcuni giorni prima delle elezioni. Trump era nel pieno dei suoi poteri, e potenzialmente avrebbe pure potuto strappare il secondo mandato. Eppure Milley decise comunque di “scavalcarlo” aprendo un canale con la Cina per garantire la stabilità del governo americano e negare attacchi Usa verso Pechino. Non solo. Milley avrebbe anche promesso di avvisare Li Zuocheng in caso di attacco degli Stati Uniti. “Generale Li, tu ed io ci conosciamo da ormai cinque anni – si legge nel libro – Se abbiamo intenzione di attaccare, ti chiamerò prima del tempo. Non sarà una sorpresa”. La seconda telefonata, invece, risale all’8 gennaio del 2021, cioè due giorni dopo l’assalto a Capitol Hill da parte dei supporter trumpiani. Lo stesso giorno il generale avrebbe pure parlato della presunta instabilità psichica del presidente con la speaker della Camera Nancy Pelosi, tra le più acerrime avversarie di Trump. I due si sarebbero detti d’accordo sulla “pazzia” del tycoon. A quel punto, spaventato da un presidente “che ormai gridava contro tutti compresi i militari e costruiva nella sua mente realtà alternative a base di teorie cospirative sul voto”, avrebbe deciso di agire prima che si arrivasse al “punto di rottura”. Piccola domanda: può un soldato manovrare nell’ombra contro un presidente democraticamente eletto dal popolo?