L’Espresso ha dedicato due pagine ai cinque leader che il 4 marzo si daranno battaglia, con foto e percentuale di voti: Luigi Di Maio (cravatta) 27,5%; Matteo Renzi (maglioncino) 24,1%; Silvio Berlusconi (cravatta) 15,8%; Matteo Salvini (camicia) 13,7%; Pietro Grasso (cravatta) 6,8%.
Credo ai sondaggi solo se va a votare lo stesso “mix” di elettori delle elezioni del 2013. Nessuno può invece ipotizzare alcunché se cambia il mix e o se aumenta la partecipazione in modo importante al voto (Brexit, Trump docet). Quindi inutile perdere tempo a fare previsioni.
Curiosamente i più terrorizzati da queste previsioni sono l’establishment e tutte le élite di ogni ordine e grado, ormai persino i gestori del Var o i partecipanti al Grande Fratello Vip sono preoccupati. Ci sarà un grande show down anti establishment? Non credo, i nodi stanno arrivando via via al pettine, e degraderanno il modello in modo progressivo, fino allo scoppio finale della bolla: sarà un grande peto (mi piacerebbe esserci).
Secondo una mia teoria, presentata nel Cameo di ieri, nessuno dei cinque leader vuole vincere le elezioni, infatti i loro programmi prevedono la distribuzione di una ricchezza che non esiste più, dall’Italia è emigrata in Europa e a Silicon Valley, ormai da noi persino i ricchi sono poveri.
Mi sono chiesto cosa abbiano in comune questi cinque personaggi. All’apparenza nulla, in comune i tre più giovani hanno l’assenza di un mestiere, uno è stato un grande impresario, ma oggi nessuno gli affiderebbe alcunché, l’altro un grande Procuratore antimafia ma oggi sarebbe probabilmente parcheggiato in Cassazione.
Tutti si sono montati la testa, persino l’austero Padoan, pur non conoscendo neppure il prezzo del latte, anela a diventare senatore.
Ho posto una domanda ad alcuni amici, specie del centro sud e delle isole, se c’è un fil rouge che potrebbe in qualche modo legarli e connotarli congiuntamente. Le sensazioni del popolino sono spesso più penetranti di quelle dei colti.
A maggioranza ha prevalso la caratteristica comune del “colorito cupo”. Non comprendendo tale definizione, l’amico napoletano mi ha spiegato che si usa la locuzione “faccia ‘ngialluta” , come epiteto rivolto dal popolino napoletano a San Gennaro (sic!) ogni volta che non si ripete il miracolo del sangue, dandogli implicitamente dello iettatore.
Se lo fanno con il loro Santo per eccellenza figuriamo con i politici.
Che fare contro la faccia ‘ngialluta? Immagino sia come quella celebre di Richard Nixon versus John Kennedy (five o’clock shadow, la chiamarono gli americani). L’unica è che i quattro prendano lezioni dal Cav.
Dicono che lui viva costantemente truccato e pure che quando si tampona un inesistente sudore con il fazzoletto, in realtà dentro ci tiene nascosto un piumino di cipria per abbattere “l’effetto lucido”, sempre pronto a colpire la leadership, ovunque si palesi.
Riccardo Ruggeri, 8 Gennaio 2018