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Cinque obiezioni al decreto “Agosto”

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In Senato è arrivato il cosiddetto decreto “Agosto”, vale a dire l’ennesimo decreto-legge contenente “misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia”. Confedilizia, ascoltata in audizione dalla Commissione Bilancio del Senato, ha evidenziato cinque aspetti critici e formulato altrettante proposte, ben consapevole che gli spazi di manovra per il Parlamento sono più che ristretti (per non dire inesistenti).

1. Il decreto prolunga di un mese il credito d’imposta per gli affitti non abitativi, che era stato previsto per sostenere proprietari ed esercenti nella fase più critica, in sostanza ponendo a carico dello Stato il 60% di tre mensilità di canone (ora portate a quattro). Occorre fare di più, garantendo questa misura – in totale – per almeno sei mesi, sino alla fine di settembre (Confcommercio, nello stesso ciclo di audizioni, ha chiesto di arrivare a fine anno). Coprire l’intero periodo estivo – o, ancora meglio, includere l’autunno – darebbe maggiore tranquillità a molti.

2. In questo momento di difficoltà per numerose attività commerciali, con conseguenti mancati pagamenti degli affitti ai proprietari dei locali, l’assurdità della norma che sottopone a tassazione anche i canoni di locazione non percepiti si manifesta in modo eclatante. Bisogna finalmente rimuoverla, adeguando la normativa sulle locazioni commerciali a quella sugli affitti abitativi. Nel corso delle audizioni in Senato, la stessa richiesta l’ha avanzata Confartigianato, vale a dire una delle rappresentanze della controparte della proprietà nei rapporti di locazione, dimostrando non comune buon senso.

3. Sempre in tema di locazioni non abitative, servono poi interventi strutturali, per i mesi e gli anni a venire. Accanto a misure di detassazione per gli esercenti, è indispensabile disporre una diminuzione del carico tributario sui redditi da locazione, attraverso la cedolare secca per le persone fisiche e una misura analoga per le società. La tassazione che colpisce questi immobili (Irpef, Imu, addizionali ecc.) è talmente elevata da limitare fortemente – considerata anche l’estrema rigidità della normativa riguardante le regole contrattuali, risalente al 1978 – i margini di contrattazione fra proprietari e inquilini. Con la conseguenza di danneggiare gli stessi operatori.

4. In una situazione di così grave crisi economica, risulta ancora più difficilmente sopportabile il peso della patrimoniale sugli immobili. L’Imu non è un problema solo per i proprietari di alberghi e discoteche, per i quali il decreto ha disposto esenzioni per quest’anno, ma per tanti altri contribuenti – in particolare locatori – rimasti privi di reddito o che hanno visto le loro entrate ridursi drasticamente in conseguenza della pandemia: proprietari di locali commerciali, proprietari di case affittate a studenti, a lavoratori in trasferta, a turisti ecc. Si rende necessaria, pertanto, una più estesa azione di sgravio di questa imposta, almeno con riferimento alla seconda rata dovuta per il 2020.

A meno che – a proposito di affitti – non la si pensi come il Sindaco di Milano, che ha detto (Ansa del 4 settembre) che “gli affitti a Milano sono troppo alti e rischiano di portare parte della popolazione più giovane a dover lasciare la città”, aggiungendo: “Una soluzione non è facile da individuare, essendo tecnicamente non semplice inserirsi in accordi tra privati. Ma ci lavoreremo”. Ecco, a parte il carattere anacronistico dell’affermazione (l’affitto è in crisi, a Milano come in altre città, causa pandemia), viene da chiedersi se al Sindaco Sala capiti mai di giudicare “troppo alti” altri prezzi determinati dall’incontro di domanda e offerta (che so, al supermercato) e di tentare di “inserirsi”.

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