Politica

Cinque (semplici) motivi per cui il 25 aprile è divisivo

Ogni anno la stessa storia. Si festeggia la Liberazione, ma servirebbe un’operazione verità sulla Resistenza

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Già il fatto che quella che dovrebbe essere una festività nazionale, cioè di tutti gli italiani, generi ogni anno dibattiti e polemiche, dovrebbe far riflettere. Così come dovrebbe far pensare il fatto che le polemiche nascono quasi sempre a sinistra, cioè da chi vorrebbe che quella festa fosse di tutti ma invece fa di tutto per farla essere e sembrare divisiva. Che poi queste polemiche si accentuino ancor più quando la sinistra non è al potere, come questa volta, è altro elemento che dà a pensare. Proviamo allora a dare una lettura quanto più possibile impolitica o liberale dell’intera faccenda, cercando di fissare per punti ciò che rende controversa la festività.

  1. Il 25 aprile si festeggia la Liberazione, cioè la definitiva sconfitta del fascismo, il regime dittatoriale e poi a un certo punto (De Felice docet) addirittura totalitario che aveva soppresso le libertà fondamentali degli italiani, almeno dal 1925 e che, alleandosi con la Germania nazista, ci aveva coinvolto in una guerra distruttiva. La liberazione fu opera degli eserciti alleati, a cui si affiancarono gruppi di partigiani o resistenti di una certa consistenza solo in alcune e ben determinate zone del Nord Italia. Il loro contributo fu militarmente irrilevante, ma simbolicamente e moralmente importante. Nell’ultimo periodio della guerra, quando fu evidente la tragedia in cui eravamo stati portati, molti italiani, già fascisti o appartenenti alla “zona grigia” dei non schierati, cominciarono a simpatizzare per i partigiani.
  2.  Una parte consistente di questi italiani e la maggioranza dei resistenti erano però, in buona o cattiva fede, non fautori dell’avvento di una democrazia liberale ma di una repubblica socialista di stampo sovietico. Essi avevano concepito la Resistenza sì come lotta per la liberazione dal fascismo ma anche e soprattutto come primo passo per l’instaurazione in Italia del comunismo, cioè di un regime totalitario né più né meno di quello che era stato ora definitivamente (altro che “fascismo eterno”) sconfitto dalla storia. Da qui quel mito di una “Resistenza incompiuta” o di una “rivoluzione tradita” che accompagnerà molta parte della cultura politica italiana del secondo dopoguerra.
  3. Quello che si presentava agli occhi di un osservatore serio, una volta sconfitto il fascismo, era un Paese ideologicamente diviso. La Costituzione e la Repubblica nacquero sì, per fortuna, ma attraverso un nobile compromesso fra antifascisti liberali e democratici, da una parte, e antifascisti comunisti, dall’altra. E l’Italia fu per molto tempo (forse lo è ancora oggi seppure in una diversa forma) in una “guerra civile” permanente fra antitotalitari a tutto tondo e antifascisti ma non anticomunisti. Se in Italia ebbero la meglio politicamente (ma non culturalmente) i primi è grazie all’accortezza di leader come De Gasperi e al voto del 18 aprile 1848 (anche se va aggiunto che gli stessi dirigenti comunisti avevano sopito i bollori rivoluzionari dopo che l’ordine era arrivato da Mosca come seguito degli accordi di Yalta).
  4. Oggi però dovrebbe essere giunto il momento di riconoscere con onestà questo “difetto nel manico”, non diminuendo l’importanza della Resistenza ma guardandola e giudicandola in tutta la sua complessità. Facendone infine una festa della Libertà in cui tutti gli italiani possano riconoscersi.
  5. Ciò presuppone una doppia operazione, che però sembra lungi dal realizzarsi, soprattutto per responsabilità di una sinistra faziosa e manichea: da una parte occorrerebbe fare un’operazione di verità o di moralità nell’interpretazione storica della Resistenza e dello stesso dopoguerra italiano (lo chiedeva sempre De Felice in un’intervista di cui parla Eugenio Di Rienzo nel suo ultimo e bel libro Sotto altra bandiera, Neri Pozza); dall’altra si dovrebbe dare un senso più pieno, come dicevo, alla festività, anche come una forma di rispetto verso quegli italiani che soffrirono, combatterono e morirono per la libertà.
  6. Realisticamente questa operazione non è allo stato attuale possibile, essendosi accentuato quell’uso strumentale dell’antifascismo da parte della sinistra, la quale non riesce a vedere in certi rilevanti aspetti del suo agire e pensare quella stessa radice che è alla base di ogni totalitarismo (militarizzazione delle coscienze, delegittimazione morale dell’avversario, pensiero unico). Già Ennio Flaiano aveva apostrofato ai suoi tempi questo modo d’essere dicendo che i fascismi in Italia erano due: il fascismo e l’antifascismo. Se poi a questo aggiungiamo che l’antifascismo serve come fattore unificante di una sinistra fatta di fratelli coltelli, anzi compagni coltelli, la situazione è ancora più chiara e fa capire perché noi liberal-conservatori siamo sempre un po’ parchi nell’uso di questo termine.

Sarà pure antifascista la Costituzione, come dice Elly Schlein, ma bisogna chiedersi a quale dei due antifascismi, se quello liberale e anche anticomunista, o a quello paracomunista, fa riferimento la neosegretaria

Corrado Ocone, 23 aprile 2023