La posta della bugia verde

Clima e bufale green: come è cambiata l’energia del Sole?

© dimitrisvetsikas1969 e stevecoleimages tramite Canva.com

Ascoltando quotidianamente i notiziari, sfogliando i giornali, parlando con amici e parenti, che stimo e ai quali voglio bene, sovente mi assale un senso di sconforto e l’impulso di non occuparmi più di questioni climatiche e sociologiche. È difficile comprendere come sia stato possibile che la follia verde abbia pervaso l’intero Occidente. Poi mi viene in mente quello che scrisse Charles Makcay nel suo Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds (1841): ciclicamente l’umanità è preda di ondate di follia collettiva, che sono destinate a dissolversi, lasciando però i sopravvissuti a leccarsi le ferite.

Pare che il fenomeno sia “fisiologico” e ineluttabile. Bene, cioè male: siamo nel pieno di questa folle ondata, e poco o nulla si può fare, se non tentare di galleggiare, cercando di instillare almeno qualche dubbio negli indecisi e nei distratti, partendo dal dato di realtà che gli adepti “verdi” vanno lasciati in pace, in quanto sono del tutto irrecuperabili, tempo perso. E i dubbi non mancano, e sono magistralmente descritti e documentati, in modo rigoroso e scientifico ne La grande bugia verde, un libro che dovrebbe essere utilizzato nelle scuole, a partire dalle medie, non per creare nuovi seguaci, uguali e contrari a quelli “verdi”, ma per far capire alle nuove generazioni qual è il corretto approccio scientifico ai problemi, che è lontano mille anni luce da ideologie, atteggiamenti fideistici e partigiani, influenze politiche, propaganda, ecc…

Parlando di follia verde, mi sono riferito, non a caso, all’Occidente. Sì, a guardar bene, poco meno di un miliardo di persone è in preda a questo delirio di onnipotenza, e pensa seriamente di avere la possibilità di cambiare il clima. I restanti abitanti del pianeta, poco più di 7 miliardi di persone, considerano le nostre politiche “green” in vario modo: alcuni paesi le considerano semplicemente neocolonialiste e razziste, altri come una ghiotta occasione per chiedere fantasiosi e lucrosi risarcimenti al bieco Occidente brutto, sporco e cattivo (per rimanere nel neo-malthusianesimo, l’unica colpa che si può addossare all’Occidente è quella di aver consentito, grazie al progresso scientifico, di far crescere la popolazione mondiale da meno di un miliardo a oltre 8 miliardi in poco più di 2 secoli), altri ancora come strumento per estendere il proprio impero senza sparare un colpo.

Bene inteso, i cambiamenti climatici sono un problema serio, ma i popoli che conoscono la storia, e che non sono stati avvelenati dalla cancel culture, dalla cultura woke, ecc…, sanno benissimo che, sin dai tempi dei Maya, qualcuno si sveglia annunciando la fine del mondo, salvo poi stupirsi nel constatare che il pianeta continui imperterrito a girare intorno al proprio asse e che il sole, tutte le mattine, spunti all’orizzonte. E per alcune popolazioni il cambiamento climatico è una benedizione, perché consente di rendere fertili immense pianure, che fino ad alcuni decenni fa erano coperte dai ghiacci; vagli a spiegare che è un problema! È chiaro che un popolo senza storia può credere a tutto. Per maggiori informazioni, citofonare a Dario Fabbri, come direbbe lui.

Perdonatemi questo lungo incipit e concentriamoci sulla nostra stella. Per anni, ingenuamente, ho dato per scontato che l’irradiazione solare totale (TSI), (l’energia luminosa che raggiunge la Terra) fosse più o meno costante e che, pertanto, non avesse un’influenza significativa sull’aumento della temperatura atmosferica. L’IPCC lo aveva dato per scontato, fondando le sue “verità” su dati satellitari, assolutamente certi (e qui un primo campanello di allarme avrebbe dovuto risuonarmi nella testa. Quando si danno per certe alcune conclusioni…). I primi dubbi mi sono sorti leggendo La grande bugia verde, nel capitolo che tratta i modelli climatici. Nel libro si evidenzia il fatto che l’IPCC (Il Gruppo scientifico intergovernativo sul cambiamento climatico, formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente allo scopo di studiare il riscaldamento globale), nei suoi modelli previsionali, avesse considerato invariante l’irradiazione solare, amplificando, di conseguenza, l’influenza della CO2 sul riscaldamento climatico (chiedo perdono al prof. Scafetta per questa bieca semplificazione).

Però, da ignorante, non sapendo come l’IPCC fosse arrivata a questa conclusione, sono rimasto nel dubbio, fino a quando, pochi giorni fa, ho letto l’articolo scientifico e guardato il video del Dr. Ronan Connolly, che spiega in modo chiaro come sia stato creato il set di dati utilizzato dall’IPCC per escludere le variazioni della luminosità del sole dai modelli climatici. Ed ora chiedo al lettore molta pazienza, perché l’argomento è piuttosto ostico, ma di importanza capitale per comprendere come sia stata creata la grande bugia verde.

Da secoli, è noto che il Sole attraversa cambiamenti nel tempo. Ad esempio, quando Galileo Galilei puntò il suo telescopio sul Sole, scoprì che il Sole non è quella palla luminosa e omogenea che appare ad un’osservazione diretta, ma è imperfetto e spesso macchiato da aree scure note come macchie solari, che sono molte volte anche più grandi della Terra. Fino a pochi decenni or sono era però noto agli astronomi che non era possibile misurare le variazioni dell’energia solare dalla terra, a causa delle perturbazioni atmosferiche. Tuttavia, a partire dal 1978, quando sono state lanciate le prime missioni satellitari per monitorare continuamente il Sole, è diventato possibile misurare direttamente i cambiamenti dell’energia del Sole, senza le interferenze dell’atmosfera terrestre.

Gli strumenti di monitoraggio solare, installati sui satelliti, misurano l’energia che raggiunge la Terra dal Sole in termini di irradiazione solare totale (TSI). Queste misurazioni satellitari mostrano che la TSI media che raggiunge la Terra è di circa 1360-1365 Watt per metro quadrato (W/m2). Mostrano anche che la TSI sale e scende leggermente nel corso di un ciclo di macchie solari (circa 8-13 anni). Tuttavia, la maggior parte delle missioni satellitari dura solo da 1 a 2 cicli di macchie solari. Pertanto, per studiare i cambiamenti della TSI per più di 10-15 anni, gli scienziati devono comporre o “cucire insieme”, le misurazioni TSI di più missioni satellitari. E qui sorge il problema. Per più di 20 anni, ci sono state controversie tra team scientifici rivali su come aggregare al meglio i dati registrati dalle missioni satellitari TSI in un record continuo per l’intera era satellitare, cioè dal 1978 ad oggi.

Ad esempio, il team Active Cavity Radiometer Irradiance Monitoring (ACRIM), responsabile del progetto satellitare ACRIM della NASA, ha adottato l’approccio di utilizzare i dati forniti dai team scientifici della missione satellitare. Al contrario, il team dell’Osservatorio meteorologico fisico di Davos (PMOD) ha applicato vari aggiustamenti dei dati a ciascuna delle missioni satellitari prima di costruire il loro insieme di dati. Il set di dati ACRIM ha suggerito l’ipotesi che, oltre ai cambiamenti nella TSI nel corso di un ciclo di macchie solari, ci siano anche cambiamenti a lungo termine nella TSI tra i cicli delle macchie solari. Ha suggerito, inoltre, la possibilità che questi cambiamenti a lungo termine nella TSI possano contribuire al riscaldamento globale.

Al contrario, il set di dati PMOD ha suggerito che la TSI non cambi molto tra i cicli delle macchie solari e ha escluso la possibilità che i cambiamenti della TSI siano un fattore importante nel riscaldamento globale. E così, gli ultimi rapporti del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite hanno esplicitamente favorito il set di dati PMOD rispetto a quelli elaborati da ACRIM. Fin qui nulla di strano, se non fosse per le dichiarazioni dei due scienziati che hanno elaborato i dati PMOD, che nulla hanno di scientifico. Ecco la dichiarazione di uno degli autori dell’elaborazione: “The fact that some people could use Willson’s [ACRIM] results as an excuse to do nothing about greenhouse gas emissions is one reason we felt we needed to look at the data ourselves,” says Lean. Since so much is riding on whether current climate change is natural or human-driven, it’s important that people hear that many in the scientific community don’t believe there is any significant long-term increase in solar output during the last 20 years.– Dr. Judith Lean in “Under a Variable Sun”, NASA Earth Observatory, Aug 4, 2003.

Capito? In sintesi, il nobile scopo dell’elaborazione del nuovo set di dati PMOD (modificati) è stato quello di evitare che il popolo bue si ponesse delle domande sulle politiche climatiche! Per tornare alla scienza “vera”, è stato da poco pubblicato un importante studio, condotto dal Center for Environmental Research and Earth Sciences, che rivisita questa controversia scientifica di lunga data, e fornisce nuove importanti intuizioni che potrebbero cambiare la nostra comprensione dei cambiamenti a lungo termine nelle TSI su scale temporali più lunghe di 10-15 anni.

Questo nuovo articolo peer-reviewed è stato pubblicato nella prestigiosa rivista The Astrophysical Journal, fondata nel 1895, che rimane una delle migliori riviste di astronomia e astrofisica. Gli scienziati del team hanno rianalizzato tutti i dati satellitari disponibili, dalla prima missione Nimbus 7 alle missioni attualmente attive sulla navicella spaziale dell’Osservatorio solare ed eliosferico (SOHO) e sul sensore di irradiazione solare totale e spettrale 1 (TSIS-1) sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Hanno aggiornato molti dei vecchi set di dati, oltre a svilupparne di nuovi. In totale, hanno aggregato 21 diversi set di dati, raccolti nell’era satellitare, compresi i 4 set esistenti, attualmente utilizzati dalla comunità scientifica. Utilizzando tecniche statistiche, questi 21 set di dati sono stati ordinati in 6 gruppi principali, etichettati da “A” a “F“.

Il gruppo (“A“) combacia molto bene con il set di dati PMOD e con i vari set di dati di attività solare utilizzati nel rapporto più recente dell’IPCC. Questo gruppo implica che c’è stato poco o nessun contributo del Sole al riscaldamento globale durante l’era dei satelliti, cioè dal 1978. Due gruppi (“B” e “C“) concordano con il set di dati originale di ACRIM, che non aveva escluso che l’attività solare avrebbe potuto contribuire al riscaldamento globale negli anni ’80 e ’90, ma che l’attività solare da allora era diminuita.

Tuttavia, altri due gruppi (“D” ed “E“) suggeriscono una nuova storia della variabilità TSI nell’era satellitare. Concordano con ACRIM sul fatto che l’attività solare potrebbe aver contribuito al riscaldamento globale negli anni ’80 e ’90 e che l’attività solare sia leggermente diminuita dai primi anni 2000. Ma, a differenza di ACRIM, suggeriscono che l’attività solare sia ancora più alta rispetto agli anni ’80 e che quindi potrebbe ancora contribuire al riscaldamento globale.

Il sesto gruppo (“F“), che è l’unico gruppo che non include nessuno dei dati satellitari associati al team PMOD originale (che si basa su dati modificati), suggerisce che l’attività solare abbia continuato ad aumentare durante l’era satellitare. Conferma anche che l’attuale massimo solare in corso sia già più alto dell’ultimo ciclo. Se questo gruppo di set di dati fosse corretto, cambierebbe completamente la nostra attuale comprensione di come sia cambiata l’attività solare negli ultimi 45 anni e, di conseguenza, metterebbe seriamente in discussione la validità dei modelli climatici adottati dall’IPCC!

L’autore principale dello studio, il Dr. Ronan Connolly ha detto: “Come spieghiamo nel documento, il Gruppo A – quello più vicino a quello utilizzato dall’IPCC e da molti degli attuali gruppi di modellazione del clima – è probabilmente il più inaffidabile dei sei. Ciò è dovuto alle pesanti modifiche dei dati e ai troncamenti soggettivi dei dati che sono stati applicati ai dati originali del team di missione satellitare”. Tuttavia, il gruppo di ricercatori, e qui si può capire chi applica con rigore il metodo scientifico, non ha ancora stabilito in modo conclusivo quale dei sei gruppi di dati elaborati sia il più accurato. Per questo motivo, il team ha fornito i nuovi set di dati alla comunità scientifica, in modo che altri ricercatori ci possano lavorare per fornire il loro contributo alla conoscenza scientifica.

Il nuovo set di dati è liberamente disponibile tramite i dati di supporto sul sito web della rivista, nonché sul sito web CERES-Science e sul sito web del repository del set di dati Zenodo.

Carlo MacKay, 30 novembre 2024

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