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Codice appalti, perché è necessario cambiarlo

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Se solo il famoso Pnrr servirà a cambiare il codice degli appalti, rendendo le cose più semplici e veloci, beh insomma ne sarebbe valsa la pena. Non appaia un paradosso. Ma i 220 miliardi che arrivano dall’Europa, per gran parte sono prestiti. E dunque condizionati ad essere impiegati in opere che rendano più di quanto costeranno, con gli interessi, alle generazioni future. Molti Paesi proprio per questa difficoltà hanno preferito prendere solo una parte dei 750 miliardi messi a disposizione dell’Europa: cioè quella a fondo perduto. Come ha fatto la Spagna.

Fatta questa lunga premessa, questi 220 miliardi occorre spenderli, o meglio investirli, in tempi brevissimi: entro il 2026. Sarà una corsa contro il tempo. È per questo che la riforma degli appalti è la riforma delle riforme. Perché sarà il vero «regalo» che ci «imporrà» l’Europa. Il ministro Salvini ieri si è detto entusiasta, sostiene che verranno velocizzate le opere, sburocratizzate anche innalzando la soglia di affidamento dei lavori, così da aiutare le piccole e medie stazioni appaltanti. Ci sono molti tecnicismi, che si capiranno soltanto quando si avrà la prova dei fatti.

Sulla carta il governo sostiene che l’80 per cento degli appalti oggi in essere avrebbe potuto essere più veloce, con questo restyling del codice. In un paese in cui tra gare, appalti ed esecuzioni si impiegano decine di anni, per costruire un’infrastruttura sarebbe un miracolo. Con i Tar sul piede di guerra, le conferenze di servizi pletoriche, le Sovrintendenze rigidissime e comitati dei cittadini che spuntano come funghi, abbiamo qualche legittimo dubbio. Ma niente come la dotazione infrastrutturale di un Paese ha senso che sia finanziata con risorse pubbliche. Vedete, una parte, infinitesimale ovviamente, delle risorse del Pnrr sono state dedicate a giovani giuristi per aiutare i giudici a stilare sentenze. Bene, serviranno a deflazionare il monte di arretrati. Ha un certo peso per la salute di uno stato di diritto, anche se relativo (non nullo) sulla crescita del Pil. Ma non saranno questi investimenti a restituire i costi del debito che stiamo accendendo con il Pnrr.

Restano grandi sfide più concrete: non riusciamo ad avere una rete energetica congruente con le nostre esigenze (si pensi al fatto che abbiamo un blocco del trasporto del gas a Sulmona), abbiamo ancora troppo poco ferro dove servirebbe e occorrerebbe davvero avere una infrastruttura telematica all’avanguardia. Non vi è un motivo per non credere che il Ponte dello stretto sia il simbolo di questa rinascita. Speriamo che sia la volta buona. Sono queste ultime le infrastrutture che riusciranno a generare valore continuo e nel tempo, e che uniche giustificano l’aumento del nostro debito pubblico.

Nicola Porro, Il Giornale 17 dicembre 2022