Politica

La riforma costituzionale

Col premierato non esisterebbe Conte: ecco perché lo osteggia

conte palazzo chigi © TkKurikawa tramite Canva.com

La notizia non è che Giuseppe Conte sia contrario alla riforma del premierato. Né che la critichi nel merito o minacci il governo grandi battaglie in caso di referendum. La notizia è che Repubblica, pur di andare contro Giorgia Meloni, non s’accorga di scadere nel ridicolo con l’incipit dell’intervista al leader M5S a firma dell’immancabile Francesco Bei.

Lo riportiamo quasi integralmente, perché sarà la base di partenza per le successive riflessioni. “Giuseppe Conte – scrive Rep – ha sperimentato due volte cosa significhi cadere in Parlamento per il venir meno di un pezzo della sua stessa maggioranza. Dovrebbe in teoria condividere la spinta verso la stabilità che Meloni ha posto alla base del progetto di riforma costituzionale”. Vi è chiaro? In sostanza, per Bei avendo Conte per due volte visto cambiare la sua maggioranza, la prima ai tempo del Papeete e la seconda con l’avvento di Mario Draghi, dovrebbe sostenere il premierato e invece, da padre della patria quale sarebbe, si schiera contro questo “ircocervo che non esiste in nessun’altra nazione”, che “distrugge l’equilibrio dei poteri” e “rende il capo dello Stato nient’altro che un passacarte”.

Bufala. E il motivo sarebbe in grado di capirlo anche un bambino, tranne Bei a quanto pare. Se il premierato ipotizzato da Elisabetta Casellati fosse stato in vigore nel 2018, lo sconosciuto Giuseppe Conte, sin lì poco più di un professore designato per un posticino da ministro in un fantomatico governo monocolore grillino, non sarebbe mai diventato un politico. Di sicuro oggi non sarebbe leader di nulla, se non forse del condominio dove abita.

Perché politicamente Giuseppi “nasce” col governo giallo-verde, un pastrocchio sorto dopo un lungo stallo istituzionale. Le elezioni tuttavia erano state vinte dal centrodestra col 37% dei voti, non abbastanza per ottenere la maggioranza secondo l’attuale sistema parlamentare, ma abbastanza col premierato by Meloni. Se la riforma fosse già stata realtà, il centrodestra avrebbe ottenuto un premio di maggioranza al 55%, Matteo Salvini (il più votato nella coalizione) sarebbe diventato premier e “ciaone” ai grillini. Giuseppe Conte, in sostanza, sarebbe rimasto nell’ombra in cui si trovava, senza ritrovarsi catapultato da “avvocato del popolo” a Palazzo Chigi.

Lo stesso dicasi per il Conte II. Dopo la crisi del Paapete, infatti, le manovre di Palazzo hanno permesso a Renzi di impedire il ritorno al voto dando vita alla coalizione giallo-rossa, una maggioranza di colore opposto a quello che aveva vinto le elezioni. Con la norma anti-ribaltone non sarebbe stato possibile e gli italiani sarebbero tornati alle urne.

Quindi va bene tutto: criticare l’attuale bozza di riforma; chiederne dei miglioramenti nei dettagli; anche pensare che riduca eccessivamente i poteri del Capo dello Stato, se volte. Ma che si dica la verità: senza il parlamentarismo dei ribaltoni, Giuseppe Conte non sarebbe politicamente mai nato. Non lo ammetterà mai. Ma è così.

Franco Lodige, 5 novembre 2023

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