Ecco quindi che alla fine il monte detrazioni Irpef “aggredibile” si riduce a 13,9 miliardi, di cui però ben 7,5 miliardi sono detrazioni per interventi di recupero o di efficientamento energetico del patrimonio edilizio che sono stati già effettuati negli anni scorsi, perché il meccanismo di queste detrazioni prevede la fruizione del beneficio per quote costanti nell’arco di 10 anni.
Tagliare questi 7,5 miliardi significherebbe dunque non agire sulle detrazioni per interventi futuri (con possibilità per i contribuenti di valutare il nuovo quadro normativo ed essere consapevoli se potranno fare conto o meno sulla detrazione), bensì retroattivamente anche sugli interventi già fatti l’anno scorso, due anni fa, cinque anni fa, eccetera, quando il diritto del contribuente è sorto.
Questa ipotesi, in termini di gestione del rapporto Stato-cittadino, è talmente aberrante da non poter che essere scartata a priori (sperando di non essere degli inguaribili ottimisti) e lo stesso ragionamento vale per gli 0,9 miliardi di detrazioni per interessi passivi annuali, relativi a mutui contratti per la prima casa negli anni passati.
Ecco che, alla fine della fiera, restano appena 5,5 miliardi di detrazioni Irpef “aggredibili”, di cui 3,5 sono rappresentati dalla detrazione per spese sanitarie.
Stabilire che queste detrazioni non spettano più a chi ha un reddito complessivo superiore a 55.000 euro, consentirebbe di recuperare coperture finanziarie per circa 700 milioni nei confronti di 1,6 milioni di contribuenti che subirebbero un aggravio medio Irpef di 437,5 euro.
Se invece si stabilisse che queste detrazioni non spettano più a partire da 100.000 euro di reddito complessivo, le coperture finanziarie recuperate sarebbero appena 200 milioni nei confronti di 410.000 contribuenti che subirebbero un aggravio medio di Irpef di 487,8 euro.
Numeri modesti in termini di contributo alla legge di bilancio.
Enrico Zanetti, 3 ottobre 2019