Cronaca

“Collettivo covo di stupratori”. L’accusa choc delle femministe: panico a sinistra

Scoppia il caso a Bologna nel giorno contro la violenza sulle donne. “Rete sotterranea” contro il Cua

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

Io intanto vorrei capire cosa significa, cosa ca*** significa Rete Sotterranea Transfemminista, in arte Rest; e poi vorrei ancora capire cosa significa, cosa ca*** significa spazio virtuale nato per denunciare i casi di violenza di genere “avvenuti all’interno dei movimenti e degli spazi politici che dichiarano di agire dal basso in più città d’Italia”. Eh, lu patriarcato de lu patriarca Abate, che tirava le sassate! E insomma, questa è la storia dei “presunti abusi che sarebbero avvenuti da parte di membri (maschili) del noto collettivo bolognese”, e qui il Resto del Carlino fa un capolavoro, perché quell’inciso tra parentesi non può essere casuale, è proprio roba da professionisti: chapeau!

Sta di fatto che nella giornata “per spegnere la violenza sulle donne”, demenziale di per sé, ontologicamente, burocraticamente, previsionalmente, perché se bastassero quattro girotondi di esaltate e due prediche farisaiche, vivremmo da tempo nell’Eden, sgorga fuori da questo centro sociale gender o quello che sia la sporca faccenda dei paladini delle donne percepite che abusavano delle donne, percepite o reali che fossero. Una faida, si direbbe, tra collettivi: il Rest dalla parte delle vittime, il CUA da quella dei carnefici. Presunti. Ma che bell’aria si respira nella dotta Bologna, sarà l’effetto dei 30 all’ora imposti dal sindaco che giustifica la qualunque dando sempre colpa alla Meloni.

Nottetempo compaiono sui muri scritte allusive, “CUA, Collettivo Universitario Abusers”. Le scritte, inevitabilmente, arrivano dopo voci insistenti, non è la prima volta che storie di questo genere si sentono mormorare tra gli “spazi” dell’università o sotto i portici infiniti del centro di Bologna “dove non si perde neanche un bambino”. Infine la sputtanescion pubblica, in puro collettivese: “Dopo l’ennesima denuncia da parte di una compagna che ha subito violenza di genere da parte di un uomo del Cua (collettivo universitario autonomo) è arrivato il momento di rompere il muro di omertà su chi da anni è artefice o complice della violenza agita da parte di ‘compagni’ all’interno dei collettivi di Bologna. Con questa azione facciamo esplicitamente riferimento al Cua [contro la] retorica ipocrita (del collettivo, ndr) che si fa vanto di portare avanti la lotta transfemminista, appropriandosene, proprio come fanno le istituzioni, ma che non fa nulla per dare concretezza a un lavoro di reale decostruzione e di indagine sul perché, da troppo tempo ormai, ci siano così tanti casi di violenza all’interno dei suoi spazi”.

Seh, come diceva Raimondo Vianello. Colpisce, come una martellata in nuca, il frasario pesantemente razzista, quasi trumpiano, oseremmo dire: “Una compagna che ha subito violenza di genere (?) da parte di un uomo…”. Uomo? Compagna? Ma, dico, compagni: e il transismo, dove ce lo mettiamo? Ancora siamo alle distinzioni sessiste, uomo, donna? Ma, scusate, voi che state lì a fare? Scusate, ma la “lotta transfemminista” non parte dalla fluidità, dall’estro del momento? E voi vi esprimete come dei notari del Medioevo, uomo che violenta donna? La risposta degli accusati, del CUA, non è da meno: “Non sappiamo di cosa si stia parlando. Vogliamo saperlo. In questi anni abbiamo affrontato con difficoltà e desiderio di trasformazione le contraddizioni (sic) e la violenza del mondo in cui viviamo. Quale stupro abbiamo taciuto, quale compagna cacciata e quale uomo staremmo proteggendo? A noi non risulta, ma vogliamo agire. Siamo amareggiati e spiazzati. È terribile anche solo l’idea, ma se si trattasse di falsità la gravità sarebbe inaudita perché ci spaventa che una pratica fondamentale come la denuncia venga esposta al rischio di essere screditata”.

Seh. Sono centri sociali, sono collettivi, non sanno scrivere, si ispirano ai comunicati brigatesi; però, fuori di slang, la risposta in sé è da manuale di omertà: niente sappiamo, niente vogliamo sapere. Si scannano tra loro, si vittimizzano gli uni contro gli altri, ma marciano insieme nel sol dell’avvenir contro il patriarcato sessista tossico. Chiamate Gino! Come mai, precisa ancora il Carlino, malgrado la turpe situazione vada avanti “da anni”, nessuno mai sporge denuncia? Inoltre, qui due son le cose: o questa compagna è una mitomane, ma i mitomani si conoscono come tali e ci ricascano sempre, dunque perdono presto fondatezza; oppure in effetti tutta la città mormora di qualcosa che succedeva, che succede veramente e allora la si butta nella vacca del “desiderio di trasformazione le contraddizioni e la violenza del mondo in cui viviamo”.

Così, tanto per coprire. Magari bastava considerare l’ipotesi del maschio (bianco, tossico ecc.?) che si percepiva donna, e tutto andava a posto. O c’è dell’altro di cui non bisogna parlare? Resta l’amarezza del grottesco, resta una constatazione mesta: lo squallore è davvero l’unica cosa democratica, attraversa tutti gli strati sociali, non è solo roba di vippagnez che si litigano gli orologi, “e borze” e i 20mila di bonus figliolanza, anche i fannulloni, gli anarcoidi, i parolai piangono. I soldati della lotta transfemminista che si scambiano accuse di abusi sessuali classiche, uomo su donna, nel giorno contro la violenza delle donne: tutta da ridere, per non piangere, compreso quel girarci intorno, quel fare il teatro dei burattini, quel lasciare le cose come stanno, e stanno losche, stanno luride comunque le si vedano.

Max Del Papa, 27 novembre 2024

Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis)