C’è sempre un nero più nero che ti fa nera e la ferrea legge dell’intransigenza non risparmia neppure la nera a metà Kamala Harris, questa Maneskin della politica Usa (e getta) anche se nel suo caso il nero più nero è semmai più rosso: trattasi del movimento razziale marxista Black Lives Matter che la “halfblood”, la mezzosangue, che nello slang dei neri per davvero è l’epitome del disprezzo, alla Casa Bianca non la vuol vedere manco dipinta.
Vecchie ruggini, situazioni incrostate: Harris ha mentito sulle sue origini e il BLM non glielo perdona; non è una black pura, è un crogiolo di provenienze dall’Europa alla Jamaica e si è giocata la carta, truccata, della purezza afroamericana per scalare la politica fino alla vicepresidenza, salvo rivolgersi ai messicani e a tutti gli altri che premono per entrare, diffidandoli: “Non venite. Non vi vogliamo. Non ce la facciamo. Non abbiamo bisogno di voi”. Roba che manco un Salvini truccato da Le Pen, e figurarsi se potevano perdonargliela i comunisti del BLM che ragionano come Mattarella in Brasile: “Paese encomiabile perché accoglie TUTTI e trasforma TUTTI i migranti in cittadini”. Affermazione impegnativa, politicamente e socialmente più che azzardata, che si commenta da sé: la politica, che secondo Artistotele era la scienza del pratico, del concreto, stemperata a ragione onirica.
Ma c’è dell’altro e di molto altro dietro il pollice (nero) verso dei BLM, roba gestita dalla Patricia Cullors che ci si è fatta un paio di tenute e di villoni in Georgia, Stato dalle attitudini quanto meno diffidenti, e per di più nei quartieri bianchi che più bianchi non si può; l’altra vestale dei rossoneri americani è la immancabile Alexandra Ocasio-Cortez, una di quelle arruffapopoli anche lei di origini miscelate, di famiglia ultraborghese, una privilegiata votatasi al comunismo sono sempre stati carne da cannone per fanciulle annoiate che tra una giuria di reality e una casa editrice di libri per bambini fatta fallire senza aver pubblicato manco una dispensa, alla fine si buttano in politica, che ai nostri tempi è l’arte dei senz’arte né parte. Allora, per farla breve, il BLM non vuole la mezza Kamala, e un po’ per questioni fanatiche e un po’, viva Aristotele!, per questioni praticissime: i soldi.
I soldi che sotto la candidatura vegetativa di Joe l’addormentato non scorrevano più e quando la sua delfina se lo è mangiato quasi vivo, hanno ricominciato a fluire, dalla finanza carnivora, dalle case farmaceutiche dei vaccini, dai filantropoli cannibali come Soros e Gates, dalla Hollywood delle star ipocrite – se si pensa che a dare il benservito a Joe la pianta è stato questo George Clooney, testimonial di caffè liofilizzato, con una letterina. Sono i prodigi della politica democratica che si appella alla Taylor Swift la quale produce fatturato più che democrazia.
Non è mai per soldi: è sempre per soldi. E il BLM, che è filoterrorista ma non scemo, sospetta, intuisce che per quella strada lì, ne intercetterà pochi. E allora mette i suoi bastoni tra le ruote, pretende, con tipica sensibilità burocratica comunista, un bla bla bla di commissioni regolamento che creino un processo che consenta la partecipazione del pubblico dal basso di un processo di nomina non solo una nomina da parte dei delegati di partito ma delle vere e proprie primarie informali e virtuali che noia che barba che noia. Le primarie informali e virtuali. Ma se questi più che saccheggiare e incendiare (e incassare) non sanno fare!
Servirà a poco, ma intanto ci provano, intanto si contano e fanno sapere di essere vivi. Come Biden. Ma Kamala, che è una che si trova molto avvenente e, cosa peggiore, intelligente, “spesso presuntuosa”, spiega Federico Rampini, che la conosce meglio di noi, ha i suoi endorsement definitivi, possenti, e indietro non si torna. Con una expertise incontestabile: è una incompetente. Nei tre anni di sottomandato le sue gaffe, le sue bugie, le sue arroganze non si sono contate. Dovunque andasse, suscitava sconcerto e riportava a casa disastri. Non ha inciso in nulla. Sta, lo abbiamo detto, alla politica come i Maneskin alla musica. È pura posa, è tutta proiezione. Ora, è pur vero che, nella temperie, fare politica è questa roba qua e per fare politica occorre essere questa roba qua: o sei inetto o sei farabutto, e dalle nostre parti ne sappiamo qualcosa.
Kamala Harris è una incapace. Il problema è: quanto incapace? Lo sarà abbastanza per scalare la Casa Bianca? Allo stato attuale sembra improbabile, Trump era già lanciato e la recente versione Van Gogh lo ha si direbbe sparato nella prospettiva vittoriosa come un missile. Dettaglio da non sottovalutare, è abbastanza ricco sfondato di suo da poter reggere la concorrenza dei megafinanziatori di quell’altra, siccome la politica democratica in nome del popolo si fa coi pacchi di miliardi. Però mai dire mai, questa è l’epoca dei cavalli non di razza ma bolsi, delle ronzine, è il tempo in cui tutto è possibile nel peggio. Kamala gode dell’eterna faida tra clan Dem, i Clinton, gli Obama, declinati stavolta al femminile. Non ce la farà, ma, ce la facesse, abbiamo una seria speranza di vedere, in tempi ragionevoli, la nostra Salis al posto di Mattarella, sempre all’insegna della continuità democratica.
Max Del Papa, 24 luglio 2024
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