Come combattere il fanatismo delle tasse

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Occorre rovesciare la frase iconica di John Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te: chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. Per il fisco italiano, funziona meglio così: “Non chiederti cosa lo Stato può fare per te: chiediti cosa ti ha già fatto”.

È questo il saggio invito (neanche troppo subliminale) che, pagina dopo pagina, giunge dal nuovo libro di Nicola Porro (Le tasse invisibili, La nave di Teseo), un autentico manuale di autodifesa per il contribuente, e insieme una preziosa opera di demistificazione dell’ultimo inganno (fiscale) di Stato.

Con tempismo millimetrico rispetto all’operazione Greta e all’appiccicosa narrazione green, Porro ci svela la nuova strategia e l’ultima narrazione dei tassatori. Che sono sempre gli stessi, ma hanno cambiato tattica. Non se la sentono più di dire che le tasse sono “bellissime”, e allora hanno scelto un astuto maquillage, una furbissima operazione cosmetica di make up tributario.

Per un verso mimetizzano le nuove richieste fiscali, e per altro verso le caricano di una valenza morale, di una dimensione etica per renderle ”buonissime”, e per additare al pubblico ludibrio chi osi contestarne i fini. Così, sul tavolo operatorio di Porro, vengono passate al bisturi tutte le ultime trovate: tasse ambientali, tassa sul bebè, tasse sull’energia, tasse sul diesel, patrimoniali occulte e visibili, fino al trionfo pauperista e antimercato della Tobin Tax.

Porro ha mano felicissima nello svelare il gioco dei nuovi “tassatori etici”. Sei contro le tasse ambientali? Ma allora – è come se ci dicessero – non sei più solo un evasore, ma “un malandrino che vuole la fine del pianeta”. Un essere spregevole, insomma. Per condurre l’operazione – spiega chirurgicamente Porro – hanno cambiato spalla al fucile: non serve più alcuna spiegazione razionale, e meno che mai un saggio e prudente approccio improntato al dubbio e alla sperimentazione. Al contrario, hanno puntato su un’attitudine quasi “religiosa”. Greta diventa una specie di sacerdotessa di questo dolciastro misticismo: come spiega l’autore, lei “non ha bisogno di studiare, sa che il mondo si sta sciogliendo e autodistruggendo”. E non è ammessa prova fattuale contraria, basata su dati e elementi misurabili: contro un dogma, non c’è cifra che tenga.

Da segnalare anche l’imperdibile sezione del libro sulla rapina fiscale a favore delle energie rinnovabili, e un irresistibile capitolo su come le mire espansionistiche (culturalmente parlando) dei “competenti” si siano spinte a occupare territori impensabili, perfino il Festival di Sanremo, attraverso la giuria di qualità, per punire ciò che sia eccessivamente a rischio di popolarità.

Senza sacrificare nulla in termini di leggibilità, anche quando affronta materie assai complicate, questo volume ha il grande merito di ricordarci alcuni principi liberali di fondo, che sembrano purtroppo dimenticati da moltissimi.

Primo: che le tasse non dovrebbero essere un castigo divino, ma solo la prestazione compiuta dal cittadino-contribuente a fronte della quale avrebbe diritto a ricevere ben precise controprestazioni.

Secondo: che dovrebbe essere lo stato a stare al servizio dei contribuenti, e non viceversa.

Terzo: che è illusorio pensare che il martello fiscale colpisca sempre e solo gli altri.

Quarto: che è perdente limitarsi a verificare che la procedura legislativa attraverso cui una nuova tassa è stata introdotta sia stata formalmente corretta. Occorre andare oltre, spingersi alla sostanza: è ammissibile ciò che lo stato ci sta facendo?

È davvero un libro da non perdere, da leggere e da regalare. Anche per ricordare a chi non appartiene (culturalmente, politicamente e socialmente) al mondo dei tartassatori un’altra nozione imprescindibile, tragicamente rimossa da numerosi liberali (molti dei quali, nel frattempo divenuti liberal, sono a loro volta entrati nel magico mondo della “bontà di stato”, naturalmente a spese altrui): contro la “narrazione etica” dei nuovi tassatori, non bastano argomenti razionali.

Serve una contronarrazione a forte connotazione emotiva: anche i liberali antitasse (se esistono da qualche parte) devono imparare a non fare i contabili, a non maneggiare solo i dati del Pil e del deficit, ma a raccontare storie emotivamente coinvolgenti, a far capire che la loro missione è difendere vite, famiglie, imprese, persone, libertà, contro vecchie e nuove violenze. Diciamolo in inglese, così capiscono anche alcuni “competenti”: non bastano argomenti intellectually compelling: serve anche e soprattutto una emotional traction.

Nicola Porro e il suo saggio vanno ringraziati per averlo spiegato nel modo migliore, offrendo munizioni preziose che valgono in assoluto, e valgono anche di più nella strettissima attualità.

Daniel Capezzone, 28 ottobre 2019

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