Elias Canetti ci mise 38 anni, per scrivere “Massa e potere”. E nonostante il Nobel, vinto non certo per questo libro, Canetti non fu mai in fondo apprezzato, per tale capolavoro del pensiero. Ciò che lo ha condannato è la sua analisi delle masse. Canetti non fa lo storico, non le giudica, e soprattutto non fa l’economista. O meglio, non usa il metodo marxiano, quello del materialismo storico: per il quale la massa e il potere si muovono solo e sempre per ragioni economiche. Usa un approccio che si può definire di psicologia delle masse. Più libero, più utile, più interessante.
La massa naturale può essere aperta o chiusa, scrive. La prima lo affascina: «Fenomeno enigmatico quanto universale è la massa che d’improvviso c’è là dove prima non c’era nulla. Potevano trovarsi insieme poche persone, cinque o dieci o dodici, non di più. Nulla si preannunciava, nulla era atteso. D’improvviso, tutto nereggia di gente. Da ogni parte affluiscono altri; sembra che le strade abbiano una sola direzione. Molti non sanno cos’è accaduto, non sanno rispondere nulla alle domande; hanno fretta, però, di trovarsi là dove si trova la maggioranza. Nel loro movimento c’è una determinazione che ben si distingue da un’espressione di semplice curiosità. Si direbbe che il movimento degli uni si comunichi agli altri, ma non si tratta solo di questo: tutti hanno una meta. La meta esiste prima che le abbiano trovato un nome ed è là dove il nero è più nero – il luogo dove la maggioranza si è radunata».
La massa chiusa invece rinuncia alla crescita e si preoccupa soprattutto della durata. «Di essa spicca innanzitutto il confine. La massa chiusa si insedia. Nell’atto in cui si confina, crea la propria sede; lo spazio che riempirà le è stato assegnato, e può paragonarsi a un vaso in cui si versa del liquido e di cui si conosce la capienza. Gli accessi a tale spazio sono contati; non vi si può penetrare in un modo qualunque. Il confine viene rispettato: può essere di pietra, di solida muraglia. Forse è necessaria una cerimonia particolare per essere accolti; forse bisogna versare una certa tassa d’ingresso. Quando lo spazio è stato sufficientemente riempito, non può più entrare nessuno. Anche quando esso trabocca, la massa densa nello spazio chiuso rimane la cosa essenziale, e quelli rimasti fuori non ne fanno parte veramente».
Entrambe le masse però hanno un istinto di distruzione che «non è mai chiaramente definito. Case e oggetti sono ciò che la massa distrugge più volentieri. Poiché si tratta spesso di cose fragili, come lastre di vetro, specchi, vasi, quadri, vasellame, si è tentati di credere che proprio la fragilità degli oggetti stimoli la massa a distruggerli. Certamente il rumore della distruzione, il frangersi del vasellame, il fracasso dei vetri, contribuiscono considerevolmente ad aumentare il piacere. Sono i forti suoni di vita di una creatura nuova, le grida di un neonato». E così via.
Nicola Porro per Il Giornale