Siamo così amanti della libertà che nei nostri discorsi sul “politicamente corretto” insistiamo quasi esclusivamente sul totalitarismo più o meno soft, e in ogni caso pervasivo, sotteso a questa ideologia dei nostri tempi. E dimentichiamo invece un altro aspetto, al primo connesso, del suo estendersi nei luoghi un tempo deputati al Sapere (quello con la s maiuscola): le accademie, i media, l’editoria non commerciale…. Esso è infatti un formidabile strumento di desertificazione culturale, impoverimento spirituale e incompetenza di massa.
A ricordarcelo, nel modo semplice e icastico che solo i grandi sanno avere, è stato il maestro Riccardo Muti, in un’intervista, per molti aspetti sconsolata, che ha concesso per Il Corriere ad Aldo Cazzullo. “C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci – ha detto Muti – un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche, siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro”. Non si poteva dire meglio. Ed è quello che ognuno di noi, nel suo campo, vede all’opera ogni giorno.
Tutto cominciò con le rivendicazioni di un certo, non tutto, femminismo, che si inventò l’ideologia, ormai diventata (quasi) realtà, delle quote. E chi, come noi, ne mostrava già allora i limiti veniva subito accusato, con il salto logico che è di tutti gli intolleranti e gli ignoranti, di “maschilismo” e “sessismo”. A nulla valeva portare costoro sul terreno del ragionamento: il pensiero breve, elementare, procedente a salti, non vuole sentire ragioni! Se io organizzavo un convegno e mettevo tre uomini e non tre donne era non perché su quello specifico tema erano i più bravi sul campo non perché avevo voluto penalizzare le donne (nemmeno inconsciamente). Meglio una donna “capra” (ne esistono come fra gli uomini) che un uomo intelligente e competente? Per i conformisti del tempo sì, in fondo.
Che è spostare un discorso valido su un terreno (le donne sono state e sono davvero penalizzate nella nostra società anche se questo non ha evitato a volte alle più brave di emergere) su un altro in cui non deve avere valore: io sto organizzando un convegno e non un’opera di educazione sociale e morale. E se sposto le categorie valide nell’un campo a quello dell’altro, attuo un sofisma: di quelli che Socrate, il padre della cultura occidentale, combatteva sulla piazza di Atene. Il che ovviamente non mi esime, nel sociale e in politica, di lavorare per far scomparire ogni tipo di discriminazione in modo che il genere, come è giusto che sia, non presenti certe asimmetrie. Non posso utilizzare però il campo culturale per questa sacrosanta battaglia, così come non posso accettare che a operarmi sia un chirurgo donna incapace piuttosto che un uomo ma bravo e affidabile. Col tempo, come sappiamo, questo modo di ragionare dalla discriminazione femminile si è esteso a mille altre vere e presunte “discriminazioni”, e sinceramente fra generi e sottogeneri mi sono perso. Il risultato è che la cultura sempre più minacciata e in preda a incompetenti.
Ed è anche questo un ulteriore cortocircuito del “politicamente corretto: sono proprio i fautori della “competenza” (che è spesso proprio questa “cultura engagé” e cioè incultura) a favorire l’incompetenza e l’incultura di massa. Anche se poi come tutti gli asini, guardandosi allo specchio, i sedicenti (e autoproclamatisi) “competenti” pensano di essere purissimi purosangue.
Corrado Ocone, 4 luglio 2021