Cultura, tv e spettacoli

Come il woke è sbarcato pure in ufficio

Immagine generata da AI tramite DALL·E di OpenAI

Non si capisce se sia colpa della Storia, del Covid, dei vaccini, del woke, della sinistra, della destra, dei razzi di Musk, degli alieni, ma una ed una sola cosa è certa: siamo idioti in un mondo di idioti. Prima la crociera per il Trump 2, la vendetta, che potranno starsene al largo dall’America per tutti e quattro gli anni del suo mandato. Poi l’università americana che agli studenti “che devono riprendersi dallo stress delle elezioni” offre, sentite che roba, latte e biscotti, cubetti di Lego, album per colorare coi pastelli, insomma li rimbambisce di ciucciotti rimbombanti (noialtri ragazzi dei sixties avevamo altri mezzi per superare uno stress, anzi un trauma: magari non tutti leciti e raccomandabili, ma almeno più dignitosi de ‘sta roba da celenterati). Non bastasse, voilà l’esodo dei tignosi da X, annunciato su X, dai drogati di X: Piero Pfizer Pelù, Elio e le storie mosce, Sandrone Ruotolone, piddini assortiti, grilletti sparsi, gente in cerca di visibilità che fa sue le ossessioni narcisistiche di Nanni Moretti: mi si nota di più se mi cancello o se resto ma sto zitto? Se ne aggiungono di continuo, Lilli no che ha già le sue rogne, in compenso il “maestrone”, maddeché, il compagno Guccini con tutta la sua retorica resistenziale, appenninica, tovaglia a quadretti, osteria, chitarra scordata e fiasco d’emergenza. Ma non c’è limite al woke e ci tocca dar conto anche dell’ennesima demenzialità (vi piace, come neologismo?): solo che qui bisogna riavvolgere il nastro e “partire dal principio”, ossia da anni e annorum addietro, quando gli esseri umani erano magari meno multitasking, ma almeno più normali. Più umani.

Dunque, avete presente la routine d’ufficio? Rappresentata, raccontata, immortalata da milioni di opere, dal Monsù Travet di Bersezio al Fantozzi di Villaggio? Occhiate lussuriose o arcigne, piccoli dispetti di pessimo gusto, carognate di tutti i giorni, goffe patetiche avances, e tutto il microcosmo di vita paludosa in una qualsiasi comunità di colleghi: bene, scordatevi tutto, cancellate tutto a partire dal nome: oggi la vita grama da scrivania si chiama “ageismo”, possino ammazzalli. Ageismo e poi sessismo, ovvio, e bullismo, chiaro, e bodyshaming, of course, e via discorrendo; ce ne dà fondamentale informazione un pezzo forse eventualmente lievemente pubblicitario dell’Ansa, visto che vi si cita, con una certa qual insistenza, Nespresso, che non è quella dei cappuccini di George Clooney, “what else”, ma forse invece sì, pare proprio di sì visto che si ritrova l’articolo di Ansa, praticamente ricalcato, sul sito “Beverfood” e siccome non è chiaro chi abbia “vendemmiato” chi, come soleva dire il critico televisivo Sergio Saviane, ogni ipotesi è lecita. Va beh, insomma, per farla breve, Ansa, senz’ansia, cita Nespresso, cita LinkedIn, cita Simona Liguoro, Direttrice HR di Nespresso Italiana, che si sbrodola a proposito dell’inclusione, cita “la consulenza di Chiara Bisconti, Consulente di Risorse Umane ed esperta in Dei e Valentina Dolciotti, formatrice e consulente per le tematiche di Diversità & Inclusione nonché fondatrice di DiverCity magazine”, e tutto per cosa? Per l’inedito, sconvolgente fenomeno delle “microaggressioni sul posto di lavoro”.

Che sarebbero quella cosa per cui si maligna, hai visto la Mariella come si è vestita oggi, pare una losanga, oppure il Mario ha messo su 20 chili, pare l’omino Michelin, o anche il classico dei classici, “Vedi come sta acido/acida, mi sa che è un po’ che non scopa”. Tutto questo, vecchio come l’uomo e come il cucco, oggi assume le traumatiche sembianze di “vere e proprie aggressioni verbali che, per il modo subdolo con cui avvengono, a volte sono difficili da riconoscere ma provocano frustrazione e impotenza, per chi le riceve e per chi assiste” ecc. ecc., ma andè tuti in mona. Che sarebbe la vita senza malignità? Chi, per dir solo del giornalismo, non si è imbattuto, magari agli inizi in un caposervizio particolarmente bastardo, e mi fermo qui? È la vita, bellezza, e la vita l’è bela, l’è bela, come dice la canzone, però non è mai un cestino di violette. Mai. Ma il woke, travestito da ricerca, da sociologia, da inclusione che ha rotto le balle, pretende di estirpare la vita, che è come sradicare l’uomo da se stesso, come pretendere il mondo fatato dei rammolliti, è vivere su un pianeta che non c’è. Sfornando generazioni sempre più di cartavelina. “Che hai, ti vedo stanca” diventa un crimine, diventa “ageismo”. Pensa i poveri martiri sotto i bombardamenti, che si sentono fare ageismo e vanno da un avvocato, se lo trovano vivo, a far causa per ageismo, per sguardo cattivo o lussurioso.

Di solito, questi “studi”, queste ricerche o sondaggi o consapevolezze si reggono su una ragnatela di contraddizioni fra l’irritante e l’esilarante: così si può scoprire che le microaggressioni “Sono discriminazioni che nell’80% dei casi non vengono classificate come tali per via della scarsa consapevolezza nei luoghi di lavoro di cosa siano le micro-aggressioni”. Praticamente ti insegno che sei molestato anche se tu non te ne accorgi; e, quando te l’ho spiegato, va a finire che contribuisco a far “scaturire in chi le subisce, e in chi vi assiste, disagio e rabbia”. Perché ci hai fatto caso, capite? Se no, prima vivevi sereno o almeno convivevi col collega insopportabile, col capo deficiente, senza farne un dramma. Eh, no, troppo facile: c’è la microaggressione, tutto è microaggressione, anche la classica scorreggia dal sen fuggita, diciamo così.

Oggi le comiche, ma fino a un certo punto: dinamiche del genere nascondono sempre lo stesso effetto perverso: il condizionamento piovuto dall’alto, la morale imposta (dai moralisti che sono i peggiori figli di puttana), svitare la testa alla gente per riavvitargliela al contrario come la bambina dell’esorcista, quel “ti dico io come devi curarti, alimentarti, viaggiare, scaldarti, preoccuparti, trombare” e, finalmente, guardare, parlare, tenerti sul posto di lavoro. Nel messaggio di questa Chiara Bisconti, “È necessario fare formazione, promuovere dialoghi all’interno dell’azienda, attivare l’ascolto. Per arrivare a capire che le aziende possono essere comunità di persone che si aiutano, si supportano e collaborano, rispettandosi sempre”, sta da una parte l’esigenza dell’ennesima faccenda inutile come è inutile l’aria fritta, dall’altra l’impossibilità del vivere, del vivere in comune; sta la necessità di una mente superiore, pura, anodina, artificiale, valoriale – quale, quella di Nespresso? – che ti dica qual è il tuo posto, la tua facoltà di parlare, di muoverti, di esistere.

Roba paranoica, che in America è già allo stato avanzato e ovviamente va esportata, se no che democrazia sarebbe, anche qui nel vecchio mondo (fatti salvi gli islamici, loro hanno altre metodologie ed è meglio non andargli tanto a rompere le scatole). Siamo all’evoluzione del patriarcato bianco maschio tossico che vota Trump il quale “ti stupra dentro” anche solo aprendoti la portiera della macchina o offrendosi di pagarti la cena (se non si offre, passa per micragnoso, infame, taccagno bianco maschio tossico che vota Trump); già era diventato impossibile dire a una collega “oggi sei particolarmente radiosa” o “come ti sta bene quel vestito”: adesso diventa proibitivo anche chiedere gentilmente una matita o guardarla in faccia mentre le parli, guai a dire “non dimostri gli anni che hai”, scatta il var del woke, è ageismo, è microaggressione.

L’ho già scritto che siamo dementi in un mondo di dementi? Non ricordo, ma una cosa io vorrei sapere, come Pasquale Ametrano: se tutto è potenzialmente messaggio ostile, sguardo perfido, cattiveria, trauma, attacco, insidia, violenza, barriera all’inclusione, se discolparsi mille volte non serve, tanto conta solo la percezione della “vittima”, se dire a un/a collega ti vedo in forma, ti fa bene la palestra, diventa sessismo, se non c’è più nessuna differenza tra un complimento e un insulto, uno sguardo di ammirazione, una pacca sul sedere e una violenza infame in bagno, se diventa da codice penale pure mandarsi allegramente a cagare tra dirimpettai di scrivania, insomma se tutto è uguale a tutto e tutto è fonte di “aggressione”, se per imporre il paradiso in terra ti portano all’inferno, me lo dite voi come si fa, come cazzo si fa a lavorare insieme, a combinare qualcosa di buono tutti insieme?

Max Del Papa, 15 novembre 2024

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