Ci sono situazioni politiche e storiche in cui è difficile avere e proclamare un’opinione diversa da quella di una larghissima parte della maggioranza e dell’opinione pubblica. Era difficile contestare la procedura del lockdown in piena pandemia, come oggi nessuno, o pochissimi, si permetterebbero di azzardare un giudizio negativo sulla proposta di tetto al gas. Nell’uno e nell’altro caso, vi è un conformismo eccezionale, derivante forse dall’eccezionalità della situazione in cui ci si trova.
Helmut Schoeck in un magnifico libro edito da Liberilibri, L’invidia e la società, fornisce una lettura interessante di questo processo. «Alla fine degli anni ’50, Stanley Milgram condusse, prima all’università di Harvard e poi in Norvegia e in Francia, alcuni esperimenti allo scopo di accertare se la diversa cultura e il diverso carattere nazionale avessero un influsso sul conformismo degli individui. In ogni prova veniva data a ciascun soggetto l’illusione di stare in una cabina mente altre cinque erano occupate da altre persone. In realtà, queste erano vuote, e la presenza e il concorso degli altri erano simulati mediante registrazioni. Il soggetto sente nella cuffia dei suoni e deve dire quale dei due è stato il più prolungato. Ma prima di dare il suo giudizio ha la possibilità di ascoltare i pareri delle altre cinque persone fittizie… in genere questi esperimenti, come quelli precedenti di Asch che faceva stimare la lunghezza di alcune linee, confermano l’esistenza di un sorprendente conformismo: il singolo individuo tende a diffidare dei propri occhi o delle proprie orecchie piuttosto che continuare a contraddire le opinioni di un gruppo».
Schoeck ci dice anche che quell’esperimento dimostrò come le comunità più stataliste (la Norvegia) sono le più propense a rimettersi al giudizio della maggioranza a dispetto delle proprie convinzioni. Ma quel che conta è che «nell’esperimento condotto in Norvegia e in Francia risultò che il soggetto teme più di tutto i pensieri sottesi sul suo conto. Si deve concludere che l’individuo il quale si conforma al gruppo, contraddicendo la sua convinzione di essere nel giusto, teme fondamentalmente le sanzioni verbali che lo rimproverano di voler essere migliore, più intelligente, più fine e dotato di una maggiore sicurezza di osservazione che non il gruppo. In altre parole: teme la manifestazione dell’invidia nei confronti delle sue doti particolari, della sua individualità, della sua autonomia».
Questo impasto di invidia che non si vuole subire e strutture sociali che ci abituano a non discutere, sono il terreno fertile del generale conformismo. Un peccato che questo esperimento oggi non si possa estendere anche alla gran parte del sistema dei media, che dovrebbe al contrario essere abituato a coltivare il dubbio.
Nicola Porro, Il Giornale 4 settembre 2022