Come colpisce duro, Enrico Mentana. Nell’intervista concessa ieri alla Stampa, il direttore del tg di La7 ne ha avute per tutti, da destra a sinistra, dalla Rai a Luciano Canfora. Dopo aver smontato pezzo per pezzo la narrazione di una Rai “in mano al governo” e di aver dato al mercato quel che è del mercato sul caso Amadeus, il giornalista ha detto la sua anche sul caso del filologo querelato dal presidente del consiglio.
Mentana non ci gira intorno. E alla collega che gli chiede cosa ne pensa del caso Canfora, risponde senza mezzi termini: “Penso che se qualcuno dice a me, perché di madre ebrea, che sono un massacratore dentro, lo porto in tribunale”. E poco importa se oggi Giorgia Meloni guida il governo e il filologo fa la vittima paventando chissà quale repressione da parte del governo: “Canfora ha detto a Meloni “neonazista nell’anima che per questo sta con i neonazisti ucraini” – un’offesa che da lei arriva fino a Zelensky – quando era all’opposizione. Non sono sicuro che oggi lo rifarebbe e non sono sicuro che lo avrebbe fatto se fosse stata uomo”. Secondo il direttore, “un intellettuale ha una responsabilità doppia: perché conosce l’importanza delle parole e perché ha un seguito”. Non solo: Canfora infatti “parlava davanti a degli studenti, cos’è un cattivo maestro se non questo?”.
In merito alla querela, il direttore non la pensa come la stragrande maggioranza degli intellettuali di sinistra che hanno firmato appelli per una difesa (a priori) della libertà di parola. Mentana crede che solo qualora Canfora “chiedesse scusa” allora “sarebbe un obbligo morale, per Meloni, ritirare la causa”. Tuttavia, “la libertà deve avere un limite: non è mia o tua, è di tutti”. Colpito e affondato.
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