Una riduzione delle imposte lascia più soldi alle imprese e ai cittadini, aumentando la spesa per gli acquisti (tra cui gli investimenti) e, in parte, anche il risparmio (se i soldi in più che mi ritrovo non li spendo tutti). Come conseguenza c’è anche una compensazione fiscale perché, ad esempio, su quegli acquisti si pagano imposte indirette e le imprese che vendono aumentano i ricavi su cui pagheranno le imposte.
Alla spesa privata andrà sommata la spesa pubblica in corso (spesso fuori controllo e mal gestita da apparati burocratici che rispondono a criteri di scelta politico/ideologica più che a criteri di efficienza).
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Nel suo formidabile libro Come si manda in rovina un paese (Rizzoli, 1995), Sergio Ricossa scriveva in un appunto del 1988: “Ad ogni ringagliardirsi della spesa privata dovrebbe corrispondere una manovra di prudenza nella spesa pubblica, affinché la somma delle due domande resti compatibile con l’offerta complessiva. Ahinoi, la spesa pubblica non si manovra, corre all’impazzata come un cavallo senza briglie. E la Banca d’Italia [la banca centrale, n.d.r], paurosa dell’inflazione, pone ostacoli vari sulla strada della domanda privata, anziché su quella del cavallo pazzo. Ecco la ragione per cui i nostri periodi di buona salute non sono mai lunghi”.
Poniamo poi il caso, del tutto immaginario, di un ipotetico paese o continente in cui una banca centrale cercasse di ridurre la spinta inflattiva con manovre restrittive, mentre sull’altro fronte un governo spingesse a debito per espandere la spesa pubblica mirata in special modo ad alcuni settori, creando, ad esempio, distorsioni nel mercato delle materie prime e nel mercato del lavoro, creando una bolla inflattiva. Cosa potrebbe scaturire da un simile tiro alla fune?
“L’autonomia della banca centrale, ammesso che esista, è incapace di assicurare la stabilità dei prezzi senza che il governo voglia fortemente il medesimo obiettivo. La mano sinistra di un pianista deve essere autonoma dalla mano destra, ma entrambe bisogna che suonino la stessa musica. Per questo nel 1947 Luigi Einaudi desiderò e ottenne di essere sia governatore della Banca d’Italia sia ministro del Bilancio.
Una banca centrale deflazionistica e un governo inflazionistico sottopongono l’economia alla tortura dello squartamento”. (Ibid)
In un paese immaginario, ben inteso.
Fabrizio Bonali, 2 marzo 2023