Come si sta preparando Israele all’attacco dell’Iran

La mossa iraniana può scatenarsi in qualsiasi momento e lo Stato Ebraico non può farsi trovare impreparato

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In ​​Israele i preparativi sono febbrili, l’attacco iraniano può scatenarsi in qualsiasi momento e lo Stato Ebraico non può farsi trovare impreparato, anzi. Se Israele scoprisse in anticipo le intenzioni di Hezbollah, e qui entrano in ballo la guerra di spie, informazioni e controinformazioni, cortine fumogene e diplomazia palese e sotterranea, l’IDF potrebbe agire in anticipo per contrastare l’attacco colpendo le rampe prima del lancio dei missili.

Questa però è solo una delle facce della medaglia, l’altra, ed è palese per chiunque capisca qualcosa di Medioriente, è la febbrile preparazione nello Stato Ebraico nella possibilità che la guerra inizi senza che ci siano informazioni sulle mosse del nemico. In ognuno dei due casi non è possibile per Gerusalemme farsi trovare impreparata. In tutta questa tensione gioca anche la politica perché sia l’establishment della sicurezza sia il governo ritengono che lanciare un attacco preventivo contro Hezbollah sul modello della guerra dei sei giorni del 1967 non sia in questo momento la cosa giusta.

Innanzitutto perché si deve vincere la guerra di nervi. Da una parte la popolazione israeliana dal 7 ottobre scorso chiede risposte serie al governo e quella del nord in particolare una soluzione che permetta il ritorno degli sfollati nelle loro case, dall’altra, dopo le minacce di fuoco e di potenza da parte di Teheran e dei suoi proxi, e soprattutto dopo la magra figura dell’attacco dell’aprile scorso, politicamente e strategicamente l’attesa logora l’immagine che Teheran ha dato di se stessa all’interno del mondo islamico e non solo.

Insomma: gli Ayatollah fra promesse e minacce americane, e anche per timore della ritorsione israeliana che stavolta non sarebbe simbolica come quella precedente ma potrebbe colpire degli asset importanti del sistema Iran, vedono con il passare dei giorni perdere l’effetto di potenza con tanti saluti del dominio sciita nei confronti di quello sunnita.

Vedere l’ayatollāh Seyyed ʿAlī Ḥoseynī Khāmeneī, la guida suprema dell’Iran guardare il cielo con espressione timorosa durante i funerali di Isma’il Haniyeh ed Esmail Qaani, il comandante della Forza Quds e successore di Qasem Soleimani, che allo stesso funerale teneva in testa un velo da donna per non farsi riconoscere dall’alto, spiega più di cento commenti e mille analisi come i vertici del potere a Teheran stiano vivendo questo momento storico.

Per cui è proprio per affrontare al meglio la guerra di nervi che i vertici israeliani ritengono che non ci siano al momento le condizioni ottimali per un attacco preventivo perché, nonostante le reiterate minacce non ci sarebbe legittimità internazionale a una mossa del genere, mancherebbe l’elemento sorpresa perché l’altra parte è preparata e, soprattutto, l’IDF al momento è impegnato a combattere nella Striscia di Gaza con poche truppe perché la parte maggiore è dislocata al nord e al centro della nazione.

Sicuramente la risposta israeliana all’Iran e a Hezbollah dipenderà in larga misura dall’entità dei danni e dal numero delle vittime che ci saranno dopo il primo strike, all’interno dello Stato Maggiore e soprattutto al ministero degli Esteri, in molti sono convinti che sarà questo il modo in cui si giudicheranno gli eventi. In maniera razionale e secondo ciò che realmente accadrà. Probabilmente proprio in base a questa teoria, Gerusalemme deciderà il tipo e la portata di una sua eventuale controffensiva.

A riprova che nonostante ciò che sta accadendo ai confini con il Libano, Hezbollah lancia continuamente droni e missili verso le città del nord, Israele non ha fretta, il ministro della Difesa Gallant ha parlato nei giorni scorsi con una serie di figure: il ministro della Difesa americano Austin, il ministro della Difesa britannico, il ministro della Difesa italiano e il ministro della Difesa tedesco.

Non che Israele stia cercando alleati in Europa, la storia insegna che tranne alcune nazioni, sempre le stesse, al momento del bisogno il vecchio continente si mette sempre in attesa per poi salire sul carro del vincitore, questi contatti con i leader europei servono più che altro come avvertimento del fatto che un eventuale allargamento del conflitto potrebbe interessare anche nazioni che fanno parte dell’Unione Europea.

Se a tutto questo aggiungiamo che dopo l’omicidio mirato di Isma’il Haniyeh ciò che resta di Hamas ha deciso di passare a Yahya Sinwar quelli che erano i compiti del defunto capo, ci ritroviamo nell’assurdità che Sinwar, conosciuto anche con il nome di macellaio di Khan Yunis, diventa capo militare e anche capo politico dell’organizzazione terroristica con buona pace di tutti quelli che fino ad oggi hanno fatto i giocolieri nel dividere la parte militare di Hamas da quella politica.

A questo punto la maschera è probabilmente caduta anche per loro. Probabilmente, perché non c’è peggio sordo di chi non vuole sentire e, soprattutto, non c’è peggio cieco di chi non vuole vedere.

Michael Sfaradi, 7 agosto 2024

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