Alla Festa dell’Unità non si butta via niente, da bravi compagni: comunisti consumisti sì, ma senza sprechi, siano salamelle, tortellini o stagionate militanti. Unisci i puntini: PD – Festa dell’Unità di Rimini – spogliarello antico in tinozza: che cosa apparirà? Chiara Ferragni. La riva sinistra, che poi è una deriva, del partito si tinge di strazio: alla suddetta kermesse, banditi, per cautelari ragioni, i vari stand di Bibbiano ed altre intraprese, potrà capitare anche a voi di vedere una “storica militante”, così la definiscono, immergersi in un catino e, tra scricchiolanti pose lascive, restare in slipponi e reggiseno: mo’ brava, bojadè.
Evidentemente la rassegna vacanziera principe del Partito Comunista Italiano e suoi derivati si rivolge ad un pubblico senile, il che si era già capito da qualche decennio: solo che a questo punto la tendenza è chiara e, si direbbe, irreversibile. Non per questo bene accolta da tutti, però. Se la performance, a sinistra del cringe rivoluzionario, ha suscitato commenti alle volte irresistibili in rete, del genere “il disagio e dove trovarlo” (Festa dell’Unità: where else?), anche dal sen dell’organizzazione sfugge il disagio di chi non l’ha presa tanto bene: citofonare Fiorella Zangari, segretaria comunale: “Una cosa del genere prima di essere fatta andava condivisa con il partito e gli altri organizzatori della festa noi e spiegata al pubblico”. “Laonde” si ha l’ennesima conferma che Giovannino Guareschi era un genio con larga visione d’anticipo: una sparata così pare uscita direttamente dal “Mondo Piccolo”, con la differenza che nemmeno Peppone e lo Smilzo avrebbero forse osato proferirla, intuendone il ridicolo. Da parte sua, per non farsi mancare niente, la compagna Rita Hayworth, all’anagrafe Loretta Pompili, attenzione, si difende: «Un messaggio a favore di noi donne e dei nostri diritti». Come no: il corpo delle nonne, col diritto di fare una scena ad alto tasso di imbarazzo in un catino.
E niente, non ce la fanno, non cambiano, non possono: perché se noi si va a vedere, la sinistra è quella roba lì, quel misto di ridicolo, serioso, ipocrita: non fate quello che faccio, fate quello che dico e se poi vi scappa “la contraddizion che nol consente”, buttatela sui diritti, sulle donne, sulla supercazzola brematurata, sullo spiegone per la plebe, su “le destre” reazionarie. Non sarebbe più semplice dire, ciascuno si comporti come crede e finiamola lì? No, e mica sono libertari questi: proibiscono, additano, educano, se il bagno nel mastello l’avesse fatto una fanciulla di destra apriti cielo, sottomissione, sessismo, Meloni vattene, avete visto, siamo tornate indietro di seimila anni; lo fa una dei loro, agèe per giunta, e stanno lì a spaccare in quattro il capello del moralismo. Quella che pretende prima il nulla osta del partito, quell’altra che si atteggia a pasionaria del secchio. E alla fine tutto tira in direzione influencer, ed è per questo che, unendo i puntini, alla fine esce fuori Chiara Ferragni come la più credibile successora di Elly: quel misto di affaristico e socialpeloso, diritti e classismo, frivolo e atrocemente serioso.
Siete grotteschi, compagni & compagne. Voi non ci arrivate alla tragedia, passate direttamente dalla atellana alla farsa, dal varietà alla commedia culona. Però sempre con quella pretesa di dettare la linea, di sapere cosa è giusto e cosa no, e di imporlo pure, con le solite armi della prepotenza, della censura e, nei casi più organizzati, del regime totalitario (o sanitario).
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Sì, certo, stiamo facendo un po’ di accademia, però, onestamente, provate a calarvi nella situazione, provate a immaginarvi la scena: siete lì a discutere stancamente delle ultime mosse di Elly, di cosa sia la sinistra, “ma quella vera”, di dove va a parare questo nostro Pidì, e tutto d’un tratto vi trovate davanti una che para, lei, i lombi nella tinozzina, rossa, per coerenza, e si contorce in pose fatali. A 67 anni. In nome e per conto delle donne, le quali non hanno chiesto niente, non hanno delegato la Pompili a rappresentarle, tanto meno in quel modo, sull’esibizionista patetico. Chissà se c’era sotto pure la musichetta, il fatidico “Nove settimane e mezza” (sì: di permanenza residua della Schlein), o, magari, “Amado mio”. Roba che uno non si ripiglia più.
Una tristezza ancor più abissale dei discorsi trinariciuti di Berlinguer sulla questione morale, che poi significava rubare come gli altri ma con diverso stile e farsi finanziare dall’Unione Sovietica. Però quel partito ne ha fatta di strada: da Yalta alla UE coacervo finanziario, passando per Budapest, Praga, via Fani le lotte operaie, la degenerazione terroristica, la stagione degli yacht inaugurata da d’Alema, capolinea l’armocromia del segretario e la burla del burlesque di una Loretta Pompili, anni 67. Era meglio 68, almeno c’era il riferimento storico.
Ma il burlesque è una cosa seria e qui non siamo a Place Pigalle ma alla Festa dell’Unità più trista che ci sia. E se non credete a quello che dico, potete andarvi a vedere il tiktok rilasciato dal “Resto del Carlino”: c’è questa militante regionale in pensione di quasi 70 anni in biancheria color carne che si insapona con una spugnetta da benzinaio in un sottofondo di risate che neppure il sassofono un po’ da barrelhouse riesce a smorzare; ogni tanto leva la gambetta, e par di sentire il cigolio; ha su gli occhiali, un modello da funzionaria bulgara; in prima fila di una platea striminzita, di vecchi, una si mette le mani nei capelli: ed è forse l’unica reazione vera, sana, umana, di tutta la faccenda. Noi siamo fieri avversari del Pd, ma una scena così ci muove a compassione, non avremmo mai voluto vederla e, direttive o meno del partito, vorremmo buttare le braccia al collo della povera dirigente locale Zangari e asciugarle tutte le lacrime, che debbono essere tante.
Max Del Papa, 19 luglio 2023