In questa diciottesima legislatura – ormai è risaputo – può davvero succedere di tutto. Già due governi in meno di due anni mezzo, con i 5 Stelle baricentro senza alcun senso della “centralità”: strattonati prima dalla Lega e oggi dal Pd. E non si contano adesso i retroscena che registrano le tensioni e le tentazioni di creare addirittura un terzo esecutivo – alla faccia della Terza Repubblica – che riproponga la “schema Ursula” senza Conte: addirittura con l’aspetto di una sorta di Frankeinstein giallo-fucsia-azzurro.
Dentro il Parlamento, insomma, è il trionfo del tatticismo. O, come si sarebbe detto una volta, della partitocrazia. L’orizzonte, si ripete dalle parti dalla maggioranza come un esorcismo, è l’elezione del nuovo capo dello Stato: mantenere in vita il governo Pd-5 Stelle, lo dicono spudoratamente, serve per evitare che il destra-centro possa tradurre la maggioranza reale in grandi elettori per indicare il “suo” primo inquilino del Colle.
Il costo sociale ed economico per la Nazione di questo surrogato di “arco repubblicano”, tenuto insieme dalla paura di perdere la cadrega, è enorme. Il tentativo di Silvio Berlusconi di voler verificare gli estremi per ripartire dallo schema di marzo 2018 (quando Mattarella si rifiutò di assegnare a Salvini il mandato per esplorare una possibile maggioranza di centrodestra) si innesta allora proprio in questo quadro: auspicare la possibilità di un governo «autorevole», non un governissimo, per cercare di rispondere con il conforto di un programma organico e sviluppista alla sfida del post-Covid. Un’opzione “parlamentare” corretta e assolutamente legittima a cui non credono più i due quarantenni – Giorgia Meloni e Matteo Salvini – che si richiamano invece alle parole inequivocabili di Mattarella (il cui senso è: dopo questo governo c’è solo il voto), insistendo sul fatto che per ovviare ai problemi che arriveranno dalla mancata gestione della fase 3 da parte del governo Conte è necessario un mandato chiaro dagli italiani.
Di fatto non ci crede più di tanto nemmeno il Cavaliere, non fosse altro perché – come ha chiarito a Il Foglio – in questo scenario sarebbero escluse ovviamente «soluzioni pasticciate e manovre di Palazzo». E allora? La strada maestra, anche per Berlusconi, è «vincere le elezioni», riportare al governo la «maggioranza naturale» degli italiani. E quale migliore occasione per evidenziare la bocciatura totale del Conte bis se non la “finestra” che si apre con le Regionali di settembre? In quel frangente sarà possibile verificare non solo la bontà delle rilevazioni pubblicate da Il Sole 24Ore (con i governatori di centrodestra in testa come campioni del buon governo mentre quelli del centrosinistra vengono bocciati senza appello) e l’entità della proposta degli sfidanti nelle regioni rimaste a guida Pd (Toscana, Marche, Puglia e Campania) ma anche la fine dell’anestetico – la gestione miliardaria dell’emergenza – utilizzato da Conte purtroppo non come grande e irripetibile occasione per rimettere in moto l’Italia ma come vetrina con cui abbellire la propria discesa in campo.
Come ha spiegato con piglio deciso Giorgia Meloni dal palco di piazza del Popolo, sarà il plebiscito del voto per le regioni – l’unico tangibile “sondaggio” – a chiarire ancora una volta se “Radio Palazzo” registra davvero gli umori popolari o se invece, come sospettiamo, lì continua ad andare in onda un reality-talk, il “Contelino”, totalmente sganciato dalla realtà. Di certo – come è riecheggiato dagli interventi dei leader sabato scorso – offrire una ciambella di salvataggio a una legislatura che farà di tutto per escludere come la “peste” il centrodestra dal governo nazionale, utilizzando la finta solidarietà dell’Ue (ma i debiti del Mes sono reali) per tenere in piedi un castello architettonicamente fragilissimo, non sembra per nulla un buon affare.
Puntare sulla stessa logica del Palazzo che si intende sconfessare potrebbe finire per disorientare un elettorato che invece continua a dare a Lega, FdI e Forza Italia pieno sostegno, come dimostra la possibilità di conquistare tra qualche settimana più di due terzi delle regioni italiane. La cosa giusta da fare, insomma, è continuare ad occupare politicamente la scena: lì dove agisce la leva democratica. E lasciare il “governo dei retroscena” agli altri. Finché dura l’anestesia. Ancora per poco…
Antonio Rapisarda, 8 luglio 2020