Persino uno come Sergio Mattarella fatica a tenere a bada i due gemelli diversi a capo di Palazzo Chigi e Confindustria. Giuseppe Conte e Carlo Bonomi, pur nella loro diversità, hanno un percorso simile: avvocato non di grido il primo, imprenditore con meno di dieci dipendenti il secondo, entrambi stanno vivendo un sogno ad occhi aperti che però rischia di diventare un problema per tutti quelli che hanno puntato su di loro. Grillini, piddini e, in passato, anche leghisti sull’attuale premier mentre i grandi potentati del Nord come i Rocca, i Tronchetti Provera o i professionisti dell’associazionismo come Abete e Marcegaglia su Bonomi. Accomunati da una gran smania di apparire, da un lato, e di smarcarsi dai loro padrini, dall’altro. Supportati nella loro egocentrica missione, anziché dai loro apparati, da mattatori della comunicazione come Rocco Casalino e, in Viale dell’Astronomia, Oscar Giannino e Giuliana Paoletti, se le sono date subito di santa ragione (“la politica peggio del virus”, dichiara Bonomi, “ansia da prestazione” contrattacca il capo del governo).
Però se di “Giuseppi” ormai si sa (quasi) tutto, i primi passi di Bonomi alla guida dell’associazione dell’aquilotto li conosciamo ancora poco, anche perché la pandemia del Covid ha rallentato ogni sua azione al punto che molti considerano un errore non aver aspettato la fine dell’emergenza per la sua elezione, posto che avrebbe comunque registrato un forte consenso. Ma forse proprio l’ampio consenso sulla sua persona e le obiettive difficoltà per il lockdown hanno convinto Bonomi di poter far tutto da solo. Le migliori intelligenze dell’Eur sono state, infatti, totalmente emarginate dall’attivismo del presidente, che rifiuta di costruire una squadra, evitando perfino il confronto con la pletora dei suoi vicepresidenti.
Gelo con Marcella Panucci, direttore generale, legatissima ad una fuoriclasse in odore di Quirinale come Paola Severino. Il neoeletto capo degli industriali italiani, per trovare appoggio presso i grandi elettori, aveva promesso la testa della Dg finendo per aprire una vera pattuglia di aspiranti successori (da Antonio Calabrò, a Francesco Delzio fino ad Alessandro Picardi), ognuno con un “mammasantissima” alle spalle, che poi si sono cannibalizzati tra loro. Centinaia di dipendenti e decine di dirigenti, ancora in smart working, assistono basiti a questa tarantella, alimentando le voci di ipotetiche liste di proscrizione. Ma soprattutto sono spiazzati dalle reiterate esternazioni del loro numero uno, esattamente come quelle di Conte.
In sostanza, nessun confronto interno, nessun dossier preparato con cura nonostante i mille tavoli di crisi e la preoccupazione di migliaia di aziende in agonia, e ancora ben lontani, malgrado i proclami, dal riportare Confindustria, dopo le tristi reggenze di Squinzi e Boccia, ad essere quel nobile pensatoio di idee e proposte di cui, mai come in questo momento di crisi di corpi intermedi, si avrebbe bisogno. E invece, solo giochi di potere che alimentano voci di ogni genere. Alcune delle quali pure suggestive. Viste le tensioni nel gruppo Cairo, si sta studiando segretamente un progetto di fusione tra Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore che, come prima mossa, comporterebbe la sostituzione del presidente del quotidiano di Confindustria, Edoardo Garrone, con una vecchia volpe come Luigi Abete che nel giornale, nel corso dei decenni, ha fatto il bello e il cattivo tempo.
O addirittura un’altra idea per rilanciare in chiave anti-romanocentrica la Luiss, in crisi di identità e precipitata nel ranking mondiale degli atenei, dove, purtroppo, non si investe in ricerca e didattica, ma solo nelle strutture. Le famiglie, però, non pagano per mandare i propri figli in bei building, ma per fargli trovare buoni posti di lavoro. Una delle ipotesi che serpeggia in Assolombarda, il vero fortino di Bonomi che, nel frattempo, ha accumulato anche la carica di presidente della Fiera di Milano, è quello di chiamare come rettore, al posto di Andrea Prencipe, soprannominato “papillon”, un giurista della Cattolica di Milano vicino a Gianfelice Rocca che, da sempre, ha il pallino per l’education. Preoccupato dal clima che si respira all’interno, Bonomi sta correndo ai ripari cercando di riattivare un organismo ibrido tra un advisory board e un consiglio direttivo, dove chiamare a raccolta i leader delle principali aziende italiane, dai Descalzi ai Tronchetti Provera, dai Bono ai Salini. L’accoglienza è stata tiepida e in molti pensano che forse è meglio uscire, come ha già fatto Fca.
La verità è che Confindustria è sempre più un luogo di piccoli imprenditori, con piccoli presidenti di passaggio che magari credono di utilizzarla come trampolino di lancio per future avventure in politica. Perfino l’ostracismo per evitare che, con un cavillo burocratico, un imprenditore con i fiocchi come Fabrizio Di Amato diventi presidente di Roma e Lazio, ne è una conferma lampante. E il precedente del percorso politico di Conte, con l’impossibile diventato possibile, rende leciti i sogni più irrealizzabili.
Luigi Bisignani, Il Tempo 5 luglio 2020