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Consiglio Ue, la furia di Meloni sulle nomine: “Visione oligarchica e tecnocratica”

L’intervento del premier in parlamento in vista della partita per i top jobs. L’Italia sbatte la porta in faccia al “metodo” per Ursula von der Leyen: “Logica del caminetto”

Giorgia Meloni si presenta in Parlamento per le comunicazioni in vista di uno dei più importanti Consigli Europei degli ultimi anni. Di sicuro, il più complicato. Certo si parlerà di migranti, di lotta ai trafficanti, di Ucraina, del sostegno a Kiev, delle missioni per difendere il traffico marittimo nel Mar Nero. E ovviamente non mancherà il dibattito sulla guerra in Palestina, sul “diritto del popolo palestinese di avere un suo stato da far crescere e prosperare”, o sull’agenda green da rivedere. Ma la verità è che sul tavolo del Consiglio ci saranno soprattutto le nomine dei vertici europei. Quei top jobs che ieri i negoziatori dei socialisti, dei popolari e dei liberali hanno “assegnato” a Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas.

Meloni non l’ha presa bene, e le si legge in faccia tutto il disappunto. Nel chiedere “più rispetto per uno dei Paesi fondatori”, Palazzo Chigi ha fatto sapere di “non escludere nulla”, neppure una clamorosa astensione di Roma sul pacchetto di nomine. Sarebbe la prima volta. Dal punto di vista tecnico non cambia nulla, visto che bastano i voti di 15 Paesi per ottenere il via libera al tris di nomi proposti da Ppe, Pse e Renew Europe. Ma il segnale politico sarebbe enorme. “Potevano aspettare il vertice che si apre domani per ufficializzare la decisione, potevano avere più rispetto per un Paese fondatore dell’Unione – ha fatto sapere al Corriere il governo – hanno deciso di andare avanti senza di noi, a questo punto nulla è più scontato, nemmeno il sostegno parlamentare del gruppo Ecr a un secondo mandato di Ursula von der Leyen“.

Un’irritazione che Meloni formalizza anche di fronte ai deputati. “I cittadini hanno detto chiaramente cosa preferiscono. Se c’è un dato indiscutibile emerso dalla tornata elettorale è la bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo di molte delle nazioni europee che sono anche molto spesso le forze che hanno impresso le politiche dell’Unione”. I dati parlano chiaro: il giudizio negativo “emerge dal peso dei seggi ottenuti dai partiti di governo sul totale degli eletti”. In Francia, Macron ha conquistato solo il 16% dei parlamentari europei, in Germania Scholz il 32% e in Spagna Sanchez il 34%. “Solo l’Italia – rimarca Meloni – ha un dato positivo con quasi il 53% degli eletti che è espressione delle forze di governo”. E se è vero che “il popolo ha sempre ragione”, chi ha incarichi di responsabilità deve “seguire le indicazioni dei cittadini” invece di sublimare una visione “oligarchica e tecnocratica della politica e della società”. Il premier se la prende con chi cercava di trattare gli incarichi di vertice “prima ancora che i cittadini si recassero alle urne”. Ma anche con chi, subito dopo la chiusura delle elezioni, ha preferito non tenere in conto ciò che i cittadini hanno espresso con il loro voto. “Consideravo surreale – dice Meloni – che nella prima riunione informale alcuni si presentassero con le proposte di nomi per gli incarichi apicali senza neanche fingere di aprire una discussione su quali fossero le indicazioni arrivate dai cittadini”.

E qui arriviamo al metodo. Per Meloni resta inconcepibile che alcune forze europee non vogliano neppure parlare con quei partiti europei che in queste elezioni “hanno visto crescere il proprio consenso”. “Le istituzioni Ue in passato non sono mai state pensate in ottica di maggioranza e opposizione, ma sono state pensate come soggetti neutrali capaci di garantire tutti gli stati membri indipendentemente dai governi di quegli Stati. I ruoli apicali sono stati normalmente affidati tenendo in considerazione i gruppi con il consenso maggiore, e quindi il responso elettorale, indipendentemente da logiche di maggioranza e opposizione. Perché questa si materializza nel parlamento con maggioranze che cambiano da dossier a dossier”. Oggi, invece, pur di escludere FdI, “si decide di aprire una logica nuova e si preferisce la logica dei caminetti in cui alcuni pretendono di decidere per tutti, sia per quelli della parte politica avversa sia per quelli di nazioni considerate troppo piccole per sedersi ai tavoli che contano”. Questa conventio ad excludendum il governo italiano la contesta. E non intende “condividerla”. “L’errore che si sta per compiere”, ovvero rinominare Ursula “con una maggioranza fragile e destinata ad avere difficoltà durante tutta la legislatura”, è un “errore importante” per una Ue che “sembra non comprendere che la sfida che ha di fronte o che la comprende e preferisce dare priorità ad altre cose”.

Per questo, l’Italia non intende entrare nell’accordicchio o dare il suo via libera “per chiedere in cambio un ruolo che all’Italia spetta di diritto“. Meloni chiederà invece “un cambio di passo politico” e poi si batterà “per l’Italia” perché è uno dei grandi Stati dell’Unione. “Non sempre questo peso ci è stato riconosciuto nel passato, ma il messaggio che ci hanno dato i cittadini è chiaro e non intendiamo farlo cadere nel vuoto”.

Articolo in aggiornamento

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