L’ennesimo atto amministrativo, alias dpcm, che inasprisce la disciplina sulla circolazione dei cittadini, certifica il cortocircuito operativo del premier Giuseppe Conte. Dopo gli improduttivi tre mesi estivi del governo, che ha latitato nell’organizzare in sicurezza la ripresa delle attività ordinarie, ci siamo ritrovati a fronteggiare il risveglio epidemico disarmati. Sulle scuole e i trasporti si sono registrate le principali criticità, con la struttura emergenziale e ministri competenti in affanno e senza uno straccio di piano, con l’aggravante di un governo che adotta un modus operandi a fisarmonica: ieri chiudevamo per aprire a Natale, a Natale invece chiudiamo, ma non sappiamo come riapriremo. E il punto è proprio questo.
Al governo giallorosso è imputabile un difetto di programmazione che ha gettato nel caos attività strategiche, come quelle didattiche, per il futuro del Paese. A ridosso della riapertura in presenza delle scuole, programmata per il 7 gennaio, aleggia una fatalistica rassegnazione nella prospettiva di prorogare la privazione formativa dei giovani studenti. Il direttore generale della prevenzione presso il Ministero della Salute, Giovanni Rezza, è stato esplicito: con questo quadro epidemiologico, non si può riaprire. Eppure, il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, continua a ostentare un teorico piano per la riapertura delle superiori, puntando sui trasporti (organizzati da chi?), sugli orari differenziati e sulla corsia preferenziale dei tamponi rapidi nelle scuole. In sostanza, la Azzolina annuncia di operare nelle prossime due settimane per ottenere quei risultati che è stata incapace di raggiungere nei 9 mesi che ci precedono.
Non solo: il suo stesso presidente del Consiglio, in conferenza stampa, di fatto la smentisce.