Grazie a Renzi e a un Mattarella risvegliatosi in zona Cesarini, l’Italia avrà un governo finalmente autorevole. A parte gli unici tratti in comune rappresentati dal tifo per la Roma, i capelli curati e il completo blu d’ordinanza, Mario Draghi è proprio l’antipode di Giuseppe Conte, per formazione, preparazione e stile di vita.
Giuseppi il vanesio, SperMario il discreto
Il presidente del Consiglio incaricato è nato e cresciuto a Roma, figlio d’arte di un funzionario di Banca d’Italia, con studi nel prestigioso collegio dei gesuiti. L’ex due volte capo del Governo, invece, è nato in un paesino del foggiano, con un papà segretario comunale e un curriculum vitae rimpolpato in extremis con corsi di lingua prima di diventare premier. Negli sport, a Giuseppi piaceva giocare a calcio, a Super Mario a basket ed oggi ha la passione per il golf, tanto che nei rari momenti di stanca voleva creare un fondo internazionale per acquistare campi nei posti più belli del mondo. Studi internazionali rigorosi per il banchiere, compreso un dottorato al MIT di Boston, mentre per l’ex avvocato degli italiani turismo accademico. Tanto preciso il primo agli appuntamenti, con il suo motto “la puntualità è la virtù dei re”, tanto pasticcione l’altro nel gestire la sua agenda. Con lui, l’anticamera di Palazzo Chigi era diventata un suk, per non parlare delle telefonate inevase, perfino quelle dello stesso Draghi, il quale, al contrario, quasi non usa segretarie e di solito chiama direttamente.
Sugli apparati dell’Intelligence, Conte sembra ami più il gossip che l’analisi, Draghi invece è giustamente guardingo. Retorico, tautologico e prolisso l’ex premier; anglosassone, sintetico e tagliente il premier incaricato. Ne sanno qualcosa i segretari dei partiti quando, guardandolo negli occhi, si sono sentiti dire: “le conclusioni le traggo io”. Tanto uno ha calpestato e svilito l’Amministrazione dello Stato con decine di inutili task force e raffiche di Dpcm schizofrenici quanto Draghi, ben conoscendola, la esalterà, avendo peraltro varato nel 1998 la sua omonima legge, il Testo Unico della Finanza, ancora oggi la principale fonte normativa in materia di finanza e di intermediazione finanziaria. Basta leggere la lettera del 10 gennaio del 1991 quando il ministro Guido Carli lo propose all’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti come direttore generale del Tesoro: “in possesso di indiscussa considerevole professionalità nelle materie economiche, ha maturato una notevole esperienza in ordine all’operatività dei servizi del Tesoro avendo svolto con successo incarichi di studi e consulenza (…) oltre alla ragguardevole esperienza internazionale (…)”.
Trent’anni di esperienza sul campo ben diversi da quelli del professor Conte, scoperto da ‘Fofò’ Bonafede nei corridoi dell’Università di Firenze. Tanto vanesio Giuseppi, con un plotone di costosissimi comunicatori capitanati da ‘Roccobello’ Casalino, e tanto preso dall’orgia social costruitagli intorno per affrontare la realtà, quanto discreto e trasparente il prossimo capo dell’Esecutivo. Rivolto al sociale e al mondo della scuola il banchiere, inconsapevole l’altro, che ha avallato persino la spesa dei banchi a rotelle.
Draghi non è Monti
La strada di Draghi è difficile, ma quanto sarà lunga? Certamente fino alla fine della legislatura, se spingerà il Parlamento verso una riforma elettorale in senso proporzionale che includa nella Costituzione l’abolizione del semestre bianco e la non rieleggibilità del Presidente della Repubblica. L’ispirazione, forse, la troverà guardando ai passati “governi del presidente”, certamente non a quello di Monti che, si sa, non ha mai apprezzato. Piuttosto agli Esecutivi di Carlo Azeglio Ciampi e di Lamberto Dini, con il quale negli anni ha tenuto sempre un filo diretto. E, non a caso, proprio Dini gli ha consigliato, come fece lui, di tenersi l’interim del Tesoro. A Scalfaro, quando gli chiese se non fosse un compito troppo gravoso, Lamberto, cittadino di Washington come Mario, rispose: “è l’unico modo per non litigare con il mio Ministro del Tesoro”.
Ma Draghi guarderà soprattutto a quello che è passato alla storia come ‘il tessitore’: Camillo Benso Conte di Cavour. Egli stesso lo ha commemorato pubblicamente: “uomo d’azione nel senso più alto, attento ai risultati concreti, proteso verso mete ambiziose ma al contempo realizzabili (…) la sua maestria è il tenere conti con ambizioso realismo degli interessi in campo, la sua capacità di tenere unite le forze interne ed esterne al Paese necessarie al conseguimento del proprio progetto (…) la collaborazione internazionale l’unico modo di governare problemi che gli Stati non riescono ormai a risolvere da molto tempo da soli (…)”. Per fare tutto questo è bene che Draghi ricordi quello che successe a Filippo Maria Pandolfi, incaricato di formare un nuovo governo ma che dovette rinunciare a favore di Francesco Cossiga. Il ‘Picconatore’, amico e nemico di Draghi, disse a Pandolfi: ‘quando ti danno quest’incarico non devi fare un bel governo, ma un governo. Più giorni passano e più ti fottono’. Cossiga lo fece a tempi di record.
Professor Draghi, stia attento, se continua nelle consultazioni perde di autorevolezza. Faccia in fretta, whatever it takes.
Luigi Bisignani, Il Tempo 7 febbraio 2021