Va bene, siamo tutti presi dentro un flusso continuo di notizie, battute, battibecchi: e finiamo – senza rendercene conto – per avere la proverbiale memoria del pesce rosso, quella che, secondo gli etologi, non dura più di 8-9 secondi. Pronti a reimmergerci nella nostra bolla, nel miniacquario, fino alla polemicuccia successiva.
Eppure varrebbe la pena di rivolgere una domanda incrociata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, quando ormai manca una settimana al momento in cui il governo dovrà anticipare a Bruxelles le linee guida della manovra (15 ottobre) e altri cinque giorni (20 ottobre) alla presentazione formale alle Camere del disegno di legge di bilancio.
Il primo, Conte, una settimana fa, incalzato dai suoi alleati che lo spingevano ad annunciare il disinnesco delle clausole di salvaguardia, ha solennemente annunciato davanti alle telecamere di “aver trovato 23 miliardi”.
Il secondo, Gualtieri, appena un paio giorni dopo, intervistato sul Corriere della Sera sul complesso della manovra, confessava però che occorre “trovare 14 miliardi”.
In un altro paese, pochi minuti dopo, sarebbe partito il fuoco (politico e mediatico): com’è possibile averne trovati 23 e doverne trovare ancora 14 in una manovra che ne “cuberà” circa 30? Com’è possibile che un premier e il suo principale ministro diffondano palesemente versioni opposte a quarantott’ore di distanza l’uno dall’altro? Com’è possibile che i partiti della loro maggioranza (che già litigano su tutto: in genere su cose non cruciali), davanti a questa enormità, non abbiano fatto né una piega né un plissé?
Con il ritorno del rosso antico nelle stanze del Mef, dunque, non solo le tasse sono nuovamente “bellissime”, ma pure i conti pubblici hanno un andamento variabile: salgono e scendono come le quattro punte della pochette contiana.
Daniele Capezzone, 7 ottobre 2019