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Conte finalmente confessa: “Col Covid misure da Stato sovietico”

Durante la presentazione del libro di Roberto Speranza, all’ex premier scappa una ammissione

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Giuseppe Conte misure sovietiche covid

Si dice che il tempo sia galantuomo. Basta saper attendere e prima o poi i fatti ti danno ragione. Abbiamo passato mesi e mesi, su questo sito, a sottolineare come le misure messe in campo dal governo Conte II in piena pandemia Covid tutto avessero tranne i crismi dei principi liberali. Giusto per fare un riassunto: lockdown, zone rosse, zone arancioni, zone gialle, aperitivi sì, cena seduti no, caffè al bancone permesso ma guai al tavolo, autocertificazioni che cambiavano dalla sera alla mattina e interminabili dirette in cui il signore del Covid (Giuseppi) spiegava ai cittadini come dovevano comportarsi. Pena: sguinzagliare la polizia dietro ai runner in spiaggia, con tanto di droni scova ribelli.

Durante l’assurda presentazione del libro di Roberto Speranza andata in scena alla Camera dei deputati, di fronte a una pletora di eletti uniti da una sorta di nostalgia canaglia, l’ex presidente del Consiglio ha elogiato se stesso senza fare un minimo di autocritica su quel “modello italiano” decantato dai media e poi rivelatosi una tremenda patacca. Conte ha rivendicato una sorta di spirito progressista nato in quei lunghi e difficili mesi. Ma s’è pure ritrovato a fare una “confessione” -forse involontaria- sui metodi utilizzati per governare il Paese.

Nel ricordare le misure adottate in quel tragico periodo, Conte ha rivendicato l’introduzione di ammortizzatori sociali in settori con un solo dipendente o che non ne avevano, come quello dello spettacolo. Poi ha aggiunto: “Abbiamo cercato di realizzare politiche del lavoro approfittando di questa avversità dando un segnale politico forte”. Quale? Giuseppi ha ricordato il blocco dei licenziamenti “contrario a qualsiasi logica di mercato”, una misura che “avremmo definito da Stato sovietico e autoritario“. Avete capito bene: misure “da stato sovietico” o “autoritario”.

Qui le opzioni sono due: o Giuseppi s’è redento ed ha scoperto come qualificare le decisioni prese durante il Covid, oppure ne era consapevole e oggi non si vergogna neppure di rivendicare lo stile bolscevico. Lo sfondo rosso fuoco della sala si addiceva perfettamente alla confessione. Al suo fianco Speranza annuiva. In fondo è lui che voleva sfruttare la pandemia per costruire una “nuova egemonia” culturale della sinistra. Era lui a scrivere che si trattava di una “opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra”. Lui a mettere nero su bianco che la pandemia “ha dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile” da cui ripartire e sconfiggere il neoliberismo. Era il sogno di una sorta di comunismo pandemico che oggi, grazie a Conte, sappiamo pure a cosa si ispirava: allo Stato sovietico.

Franco Lodige, 1 febbraio 2024

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