‘Giuseppi’ ha un diavolo per capello e sta riflettendo se gli convenga andare avanti a governare o gettare la spugna, con la speranza di diventare una riserva della Repubblica. Ha capito, anche dai sondaggi in caduta libera, che nel governo giallo-rosso non è scattata l’alchimia con i ministri chiave. Gualtieri, all’Economia, è un filosofo che non riesce a governare né il bilancio dello Stato né il Mef.
Con Di Maio, agli Esteri, i rapporti sono diventati meramente formali, i Ministri del Pd, da Franceschini a Guerini, pensano ormai solo al partito, la De Micheli, alle Infrastrutture, non sa come destreggiarsi tra il vecchio ‘compagno di merende’ Moretti e l’ingombrante famiglia Benetton, e Fioramonti, all’Istruzione, è una barzelletta per lo stesso M5S. Intanto, i grillini più rampanti, da Spadafora a Fraccaro passando per Buffagni, si azzuffano su nomine e Rai. Un ginepraio.
Del resto il Premier ha vinto la lotteria di Palazzo Chigi senza neppure pagare il biglietto. Grazie alla fortuna del principiante e un’impeccabile pochette, ha poi superato i primi mesi da Presidente del Consiglio senza che nessuno quasi se ne accorgesse. Ma, come il miglior Christian De Sica, vincitore del SuperEnalotto, nel film Poveri ma ricchi, pian piano si è fatto riconoscere:i viaggi su aerei di Stato, i bagni di folla e di selfie, la mania dei cashmere di Cucinelli e degli abiti sartoriali di Paolo Di Fabio.
Ma dopo aver pescato il jolly del Conte-bis, convinto ormai di essere un nuovo De Gasperi e di aver castigato per sempre Salvini, sono iniziati gli inciampi. Il primo è stato con il Vaticano: nel suo discorso di insediamento bis nessun riferimento all’eutanasia, su cui era attesa una sentenza storica della Consulta. Nei Sacri Palazzi avrebbero gradito una presa di posizione esplicita: non pervenuta.
Ora è atteso al varco per i provvedimenti da adottare per le ottantaduemila scuole cattoliche ed i contributi per i giornali diocesani. Se Bergoglio non sorride più a Conte, Donald Trump è a dir poco furente. Da Giuseppi non ha avuto la mano promessa. Nel famoso “Russiagate” il suo sodale, il generale Gennaro Vecchione, imposto a sorpresa a capo del Dis, ha fatto implodere lo scandalo in una serie di malintesi. L’ultimo, l’aver tentato di minimizzare, anche con l’aiuto del grande fratello Rocco Casalino, i riferimenti all’Italia fatti in conferenza stampa dal Procuratore generale William Barr. Ma l’inciampo forse più grosso in materia di servizi segreti deve ancora arrivare e Vecchione non sa proprio come gestirlo. Il Copasir ne chiederà presto conto al Premier: un esplosivo affaire su attrezzature acquistate dai Servizi per le intercettazioni telefoniche, dal nome intrigante “Exodus”, finito in inchieste giudiziarie che più procure si stanno palleggiando.
Se i Servizi tra brogliacci e informative, che ‘Giuseppi’ tanto ha cominciato ad amare, lo fanno star sveglio fino a tarda notte, l’Economia è diventata un vero e proprio dramma. Si è esposto personalmente per la cancellazione delle commissioni sui pagamenti elettronici con le banche, che invece lo hanno costretto a sborsare fondi pubblici aumentando, anziché tagliare, i loro guadagni. Si è messo contro i manager delle aziende, a cui voleva tassare le auto, e i proprietari di case per l’aumento delle aliquote, con l’unificazione di Imu e Tasi. Non c’è un lavoratore, dipendente o autonomo, imprenditore o pensionato che si senta rappresentato nella legge di bilancio. Non c’è azienda o settore che non risulti vessato dalla mannaia fiscale. E neppure un collega avvocato, penalista o civilista, che apprezzi il suo tintinnio di manette.
Nelle poche ore di sonno, gli incubi sono ricorrenti e il pensiero di Conte va a Italo Calvino. Chi dell’allegorica trilogia “I nostri antenati” si sente ora di essere? Il Visconte dimezzato, il Barone rampante o il Cavaliere inesistente? O forse tutti e tre insieme, giacché il Premier, si sa, non è mai stato un personaggio monodimensionale. Forse se si ferma un po’, per tornare dai suoi studenti o per qualche conferenza in giro per il mondo, fa un favore a se stesso e agli italiani. Chissà che proprio Mattarella non glielo chieda presto. Al Quirinale hanno ben chiaro quando chiamare il rien ne va plus.
Luigi Bisignani, Il Tempo 3 novembre 2019