Una premessa, questo Cameo ha contenuti esclusivamente manageriali, è stato scritto da un “competente” di modelli organizzativi aziendali, di dichiarata “incompetenza” politica. Ergo, nessuno tenti di buttarlo in politica, dandogli connotati o valenze che non ha. Lo dico più brutalmente, non accetto di aprire una qualsiasi discussione con chicchessia. I report organizzativi si condividono o si cestinano, tertium non datur. Punto. La sintesi del report, di cui mi assumo la responsabilità, è questa: “Siamo in un cul de sac, o se preferite, il Paese si è incartato”. Di chi la colpa? La “colpa ultima”, come succede nel fallimento di un’azienda, è sempre e solo degli azionisti (qua rappresentati dai parlamentari, perché questa è una Repubblica parlamentare) che hanno assegnato la carica di Ceo a Giuseppe Conte. Tocca a loro provvedere e al Presidente, se crede, avallare. Punto.
Un passo indietro. Giuseppe Conte si palesa sulla scena politica quando, nella costituzione di una specie di governo ombra all’inglese del M5S, viene indicato come ministro grillino. Risulta che sia stato selezionato da Luigi Di Maio, su proposta di Alfonso Bonafede, con la bollinatura di Beppe Grillo e della piattaforma di Davide Casaleggio. Quando grillini e leghisti decidono di fare un governo fra loro, Luigi Di Maio impone il nome di Giuseppe Conte come premier e Matteo Salvini l’accetta. Punto. Un anno dopo Matteo Salvini decide di far cadere il Governo. Se l’obiettivo era quello di andare a nuove elezioni, la mossa è di una sprovvedutezza cosmica. In una Repubblica parlamentare, come la nostra, il Capo dello Stato ha il dovere costituzionale di esplorare altre alternative; infatti, immediatamente si palesa un alleanza M5S-Pd-Sinistra. Pd e Sinistra accettano l’imposizione dei grillini di confermare Giuseppe Conte come Premier, assumendosi quindi, anche loro, la piena responsabilità della scelta. Il Capo dello Stato ne prende atto e nasce il Conte Bis. Punto.
Poi arriva, si dice da un mercato di Wuhan, un “Virus” che dal mio punto di vista di studioso del modello politico, economico, culturale detto Ceo capitalism, ha il potere di denudare in un battibaleno sia il modello, sia tutte le leadership del mondo, da quelle democratiche dell’Occidente, a quelle degli stati canaglia. La gestione del virus è pessima da parte di tutti, le menzogne di Stato della dirigenza nazicomunista della Cina ne moltiplicano la virulenza, l’Occidente cade in trance, i cittadini scoprono, con stupore-orrore, che i loro leader sono tutti uguali. Ovvio, da trent’anni sono tutti costruiti con lo stesso stampino. Trump è come Merkel, Macron come Orban, Johnson come Sanchez, Conte come Rutte. Tutti dei pieni di boria ma quando si entra nel mondo dell’execution si rivelano nullità assolute. La conferma la dà proprio il premier italiano che, malgrado quel imbarazzante curriculum, è risultato allo stesso livello (negativo) degli altri. Punto. Se si voleva una conferma della pochezza della sua leadership l’abbiamo avuta nella prima riunione in video conferenza della Commissione guidata da Vittorio Colao. Attende quaranta giorni a insediare la task force e poi dice loro “Trovate soluzioni urgenti ed efficaci”.
A questo punto diventa chiaro ciò che era emerso nell’ultima conferenza stampa. A parte gli attacchi scomposti agli avversari, gli sbagli di date, lì si è palesata la sua non leadership. Che credibilità può avere un premier che si presenta in tv in condizioni psicofisiche imbarazzanti? Promette 400 miliardi e non è stato capace dopo quasi un mese neppure a pagare qualche centinaio di euro a lavoratori disperati. Mentre parlava in forlaniano stretto, osservavo le sue mani. In questi casi, sono le mani che ti rappresentano, non sai dove metterle, come gestirle, come evitare che si palesi il tremolio nervoso, quando il linguaggio del corpo si sostituisce al linguaggio verbale, sei spacciato. Curiosa la modalità scelta: per rafforzare un discorso, chiaramente debole, perché infarcito di sogni e di menzogne, le mani si muovono disordinatamente nell’aria, trasferendo non sicurezza, motivazione, ma disperazione, figlia di confusione. È chiaro che l’uomo è disperato, forse si rende conto di essere inadeguato al compito, fa un ultimo tentativo disperato, si cuce addosso la divisa dello statista simil Churchill che vuole salvare l’Europa in nome degli eurobond. Ma, gratta gratta, resta l’avvocato di provincia, selezionato, non dimentichiamolo mai, da Luigi Di Maio, su proposta di Alfonso Bonafede, e bollinato da Beppe Grillo e dalla piattaforma di Davide Casaleggio.
Appena finita la conferenza stampa, a caldo, come faccio sempre, ho scritto un tweet: “E dire che avremmo avuto semplicemente bisogno di uno che, senza chiacchiere frivole, con consapevole umiltà, ci aiutasse ad attraversare la strada”. Confesso di essere stupefatto della straordinaria tenuta psicologica degli italiani, quelli veri, quelli per i quali la loro “camera, tinello e cucinino di periferia” si è fatta prigione, e l’ora d’aria si pratica ormai solo più nei discount, con la prospettiva che questa carcerazione mentale si prolunghi almeno fino a maggio. La Stampa ha il coraggio di titolare, nell’edizione cittadina, “Sarà un disastro, l’ex ceto medio adesso teme la fame”.
Come cittadino e come uomo mi dissocio, ma essendo la nostra una Repubblica parlamentare, tocca alla maggioranza del Paese, seppur quella dei sondaggi, ma pure parlamentare, centrosinistra e centrodestra, prendere una decisione: sostituire l’attuale premier con Mario Draghi, Vittorio Colao, o chi volete voi. Punto.
Riccardo Ruggeri, 14 aprile 2020