Nonostante gli impeccabili completi blu, Giuseppe Conte è un re nudo: così lo raffigurerebbe Hans Christian Andersen, scrittore danese, celebre soprattutto per le sue fiabe. La situazione è perfettamente chiara ormai anche al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ancora sperava in un minimo di autorevolezza della coppia Conte-Moavero per portare avanti una mediazione seria con la Commissione Ue. Il Colle non ha gradito l’ultima boutade da “duro e puro” del Premier quando l’altra notte ha minacciato di porre, assieme ai fuoriusciti della Gran Bretagna, un veto sulle prossime nomine. Un atteggiamento che di certo amplifica il nostro isolamento e accelera la procedura d’infrazione. La strada delle elezioni è pertanto ormai tracciata.
La premiata ditta Casalino-Casaleggio per mesi ci ha rifilato Conte come uno stratega internazionale, forsennatamente in giro per il mondo, che aveva grande influenza in Europa e soprattutto un legame ormai fraterno con il Presidente degli Stati Uniti. Se ne pavoneggiava quando mostrava agli ospiti a Palazzo Chigi la prima pagina del Financial Times che lo ritraeva in una foto con Trump, al quale aveva chiesto di autografare l’originale. Ma Donald gli ha tirato un tiro mancino. Pur non ricevendo personalmente Matteo Salvini, ha permesso che il Segretario di Stato Mike Pompeo lo ossequiasse come il futuro capo del governo italiano, al quale le scorribande a Mosca venivano tutte perdonate. L’agenda di Salvini, di fatto, non è stata quella di un Ministro dell’Interno, visto che non ha incontrato neppure di sfuggita i suoi interlocutori istituzionali, i capi della CIA o dell’FBI, ma quella di un Premier. E con questa visita, nonostante a tratti abbia ricordato Alberto Sordi in ‘Un italiano in America’, sempre con il cellulare in mano a riprendere la qualunque, il Capitano si è imposto come un leader di caratura internazionale, grazie anche al paziente lavoro che sta portando avanti il suo consigliere diplomatico Stefano Beltrame, che ha attenuato le carenze dell’ambasciatore Armando Varricchio malvisto a Washington.
È anche per questo successo che lo stato maggiore leghista sta chiedendo a Matteo Salvini la rottura con i grillini. Lui è inquieto. Vede segnali sinistri all’orizzonte, per esempio quando un tipo come Roberto Saviano, portavoce di più poteri, va ripetendo che “non è una persona perbene”, alimentando un clima d’odio e Dio solo sa cos’altro. Per ora Salvini ha gioco facile nel dire ai suoi, come ha fatto in un vertice segreto 48 ore fa, che la sua leadership è assoluta, che deciderà da solo quando staccare la spina e che nessuno di loro può disturbare il manovratore, visto che li ha portati alla gloria dal 3 al quasi 35 per cento.