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Conte impone le quote rosa in Puglia

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Chissà se ritornerà mai in Occidente il tempo del buon senso, o semplicemente della libertà? Quello in cui si può avere un’idea propria e personale su una questione sensibile e, una volta argomentatala, gustare il piacere di essere sottoposti a una critica seria, anche confutatrice, ma che si tenga aderente al dia-leghein, alla razionalità dialogica, fatta di tesi e controtesi, che è la logica su cui si è costruita la nostra civiltà? Su alcune tematiche oggi, invece, è impossibile discutere e, se si osa dissentire, con motivi che si ritiene fondati, dalle tesi mainstream, si è non solo esclusi dal discorso ma anche delegittimati moralmente come esseri reprobi, razzisti, fascisti, sessisti.

E a proposito di sessismo chi scrive, strenuo difensore della libertà e dell’emancipazione di ogni individuo, di genere femminile o maschile poco importa, è convinto che introdurre nelle leggi elettorali quote di genere sia non solo poco liberale ma anche un errore logico e morale: discriminante e ghettizzante proprio per quei gruppi che a ragione si sentono storicamente svantaggiati. Ma tant’è!

Facciamo pure finta allora che la legge elettorale che introduce la doppia preferenza di genere nelle elezioni regionali italiane abbia una ratio che non ha e chiediamoci: è normale che il governo centrale intervenga per decreto, commissariando mercé un prefetto una regione, la Puglia nella fattispecie, per introdurre una norma nella legge elettorale che il consiglio di quella regione non aveva voluto o saputo darsi per tempo? È possibile imporre dal centro delle decisioni agli organi delegati a prenderle, e per di più su temi ideologici e divisivi e non di sicurezza pubblica, calpestando con piglio dittatoriale (altro che Victor Orban!) le forme e le istituzioni della democrazia?

Si può giocare così impunemente con le libertà fondamentali, come sta avvenendo da un po’ di tempo a questa parte, senza che nessun organo di garanzia intervenga? Non si è sempre detto che in democrazia la forma è sostanza? E una volta incamminatosi su questa china, ci sarà un limite che fermerà un potere centrale sempre più monocratico? C’è poi un altro e non indifferente punto da tenere ben presente, e che a mio avviso è il segnale del disfacimento dello Stato: le istituzioni non sono più a garanzia dei cittadini ma sono diventate anch’esse per volontà di questo governo strumento di una lotta politica senza quartiere.

Come non leggere, allora, nell’intervento di Giuseppe Conte un tentativo di influenzare le elezioni in una regione, che è fra l’altro la sua e del fedele Rocco Casalino, che rischia di passare al centrodestra e quindi di aumentare ancor più il numero degli organismi locali in mano all’opposizione certificando il distacco sempre più netto fra il Paese reale e un governo che non lo rappresenta? Non c’è forse addirittura la volontà, sottolineata in una nota congiunta dai tre leader del centrodestra, di “creare un incidente istituzionale finalizzato a far saltare le elezioni”?

Può mai reggere la tesi di Michele Emiliano, corso a Roma a chiedere aiuti e consigli a Conte e che ha partecipato addirittura ad un Consiglio dei ministri, che ormai, essendo arrivato il “generale agosto”, non c’è piu tempo per approvare la norma per le vie normali? D’altronde, l’opposizione, che (ahimé) è a favore dell’introduzione della norma, era compatta in aula nell’ultimo consiglio regionale mentre è stato proprio l’assenteismo (voluto?) degli epsonenti della maggioranza a far mancare il numero legale.

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