La circostanza preoccupante che si sta verificando sui mercati finanziari in queste settimane è, come la chiamano gli esperti, l’appiattimento della curva.
Cerchiamo di spiegare in termini semplici. I tassi di interesse tendono per loro natura ad essere più bassi nel breve periodo e ad alzarsi nelle scadenze più in là con il tempo. Il che è perfettamente logico.
Prendiamola dal punto di vista del risparmiatore che presta soldi allo Stato, come all’impresa. Se io mi privo di mille euro per sei mesi mi aspetto una remunerazione per questo mio sacrificio. In questi sei mesi in cui ho comprato Bot, non posso impiegare i miei mille euro per altre finalità. E perciò mi faccio pagare.
Ma se la privazione dovesse durare 10 anni (i Btp ad esempio) pretendo un prezzo, cioè un interesse, più alto. Unendo tutti i puntini delle scadenze, partendo da poche ore fino ad arrivare a cinquantanni si forma dunque una curva. Che dovrebbe avere una pendenza naturale: bassa a sinistra, dove sull’asse ci sono le scadenze a breve, e alta a destra dove ci sono le scadenze più lunghe. Ebbene la curva dei tassi di interesse italiani, che impattano sul nostro debito pubblico, si è appunto «appiattita» perdendo gran parte di questa pendenza. Fa una piccola, ma percepibile, gobba sulle scadenze a uno, due anni.
Chi presta i soldi al Tesoro italiano e si aspetta di ricevere indietro il capitale tra due anni, pretende un interesse molto maggiore di quanto avvenisse solo sei mesi fa.
I trader hanno un’idea chiara. Che qui riportiamo. Nonostante le tensioni anche sui Bot a scadenza breve, non pensiamo che ci possa essere un patatrac dell’Italia nel giro di pochissimi mesi. Ma poco dopo lo scenario diventa più nero. Nel 2019 la Banca centrale europea non sarà più guidata da Mario Draghi, che fino ad ora ha comprato circa 300 miliardi di titoli del nostro debito pubblico. E già nei prossimi mesi rallenterà il percorso di acquisti.
Insomma in questo scenario, indipendentemente dal governo che avremo, il nostro debito pubblico diventerà più pesante, con un compratore della portata dalla Bce che non si presenterà più a fare acquisti.
La facciamo semplice: oggi gli investitori più smaliziati puntano su una crisi italiana nel 2020.
Nel frattempo dobbiamo fare i conti con la nostra spesa per interessi. Che oggi sfiora i 70 miliardi, su un totale di spesa pubblica di 810 miliardi. Se le prossime aste di martedì e mercoledì dovessero confermare l’andamento dei tassi, il costo aggiuntivo per le nostre casse, per soli interessi, sarebbe di mezzo miliardo di euro.
Le entrate, cioè le nostre tasse, forniscono alle Finanze 770 miliardi. Altri 40 arrivano dal deficit, che si va a sommare al nostro debito. Per questo con i mercati non si scherza.
Certo qualcuno ha interesse a mettere nell’angolo l’Italia. Ma questi numeri da soli dovrebbero farci capire che una componente di rischio ce l’abbiamo indipendentemente dai «cattivoni» mercatisti che lavorano nelle sale operative: 70 miliardi di rata del mutuo, con 40 miliardi di muovi mutui accesi ogni anno, e con tassi che sono destinati a crescere, sono la trappola in cui ci troviamo. Conte o non Conte.
Nicola Porro, Il Giornale 9 giugno 2018