Mantenere tanti soldi sui conti correnti ed in liquidità sta minando le masse di risparmio ed anche i conti del Paese. L’analisi, dettagliata, arriva da una ricerca di Prometeia dal titolo: Liquidità famiglie italiane, un potenziale da sfruttare. Nel testo i ricercatori di Prometeia sottolineano come le risorse, in termini di risparmio, a disposizione delle famiglie italiane potrebbero trasformarsi in carburante per gli investimenti. Secondo l’analisi si potrebbe arrivare fino a 250 miliardi di possibili investimenti, coinvolgendo 4 milioni di nuclei finanziari. E si recupererebbe un rendimento potenziale del 30% andato perso in 15 anni.
“Nel 2019 si è confermata la predilezione per la liquidità delle famiglie italiane. Ad osservare i dati, che mostrano un flusso positivo dei depositi per 46 miliardi di euro ad ottobre 2019, sembra che questa preferenza in questo ultimo periodo sia stata se possibile più marcata. Anni di accumulo hanno portato lo stock di attività liquide a 1.400 miliardi di euro, coprendo così il 33% delle attività finanziarie nei portafogli delle famiglie. Dai dati dell’ultimo Wealth Insights, l’indagine Prometeia e Ipsos sulle attitudini degli italiani al risparmio, emerge poi che una famiglia intervistata su due detiene in liquidità tutta la propria ricchezza”.
Tuttavia da Prometeia fanno notare come il “costo della liquidità” cominci a diventare sempre più alto, aspetto che imporrebbe una maggior capacità di gestione dei risparmi di casa nostra. Questo costo è misurabile. I ricercatori ci spiegano anche come: “Dalle analisi Prometeia sui dati della indagine emerge che chi non ha investito in un arco temporale di 15 anni ha perso circa il 30% di ricchezza potenziale in termini reali. Si tratta di un fenomeno rilevante: potrebbe coinvolgere fino a 4 milioni di nuclei familiari che al momento detengono l’intero patrimonio in liquidità, per un ammontare complessivo di circa 250 miliardi di euro, che potrebbero essere indirizzati in favore degli investimenti. L’analisi si focalizza sulle famiglie del campione che detengono una ricchezza finanziaria superiore ai 25 mila euro. Di queste, il 30% non detiene alcuno strumento di investimento finanziario. L’obiettivo è costruire, per l’individuo non investitore, un portafoglio coerente con le sue caratteristiche. A partire da questo portafoglio, è possibile calcolare il potenziale rendimento.
Si cerca poi con un secondo modello di determinare come la ricchezza potrebbe essere allocata tra liquidità, attività a basso e ad alto rischio. Ad esempio, si stabilisce quanto il fatto di detenere un titolo azionario aumenti la percentuale complessiva di portafoglio investito in attività ad alto rischio. In media, un non investitore potrebbe investire il 45% della propria ricchezza finanziaria contro il 53% investito da chi effettivamente già detiene strumenti finanziari, con una percentuale maggiore di investimenti a basso rischio. Questo è coerente con il profilo di una persona più avversa al rischio e con meno fiducia nel sistema finanziario, come in effetti risulta essere in media un non investitore dai dati della indagine.
Infine, ipotizzando che le quote in cui il portafoglio è stato suddiviso siano rimaste costanti per un determinato lasso di tempo, è possibile calcolare il rendimento che il portafoglio totale avrebbe avuto in quel periodo. Per ciascuna classe di investimento è stato utilizzato un rendimento di riferimento. I rendimenti presi in considerazione per la componente di portafoglio investita in attività a basso rischio sono quelli dell’indice total return del BTP a 10 anni, per le attività ad alto rischio si è considerato il rendimento total return dell’indice azionario Italia e per la liquidità il tasso sui depositi.