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Conti correnti a rischio, il trucco della Germania

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Perché oggi la Germania apre ad un meccanismo unico europeo di assicurazione sui depositi bancari? Non sembra strano? Perché proprio adesso? Quanto c’entrano le difficoltà del sistema bancario tedesco ed in particolare quelle di Deutsche Bank sulla proposta fatta qualche giorno fa dal ministro delle Finanze, Olaf Scholz? Quanta voglia c’è di evitare che banche italiane sempre più forti, come Intesa, (che ha appena pubblicato utili in forte crescita) non diventino sempre più protagoniste sulla scena internazionale proprio a sfavore di quelle tedesche ora in difficoltà? E soprattutto, chi pagherà per eventuali e non auspicabili, fallimenti bancari in Germania? Ancora una volta anche i risparmiatori italiani?

La cronaca. Non si può dire che quanto dichiarato da Scholz non abbia colto un po’ tutti di sorpresa. Anche gli stessi tedeschi se ne sono meravigliati, tanto che, più di qualche cronista ha evidenziato come la presa di posizione di Scholz non sarebbe stata concertata neanche con la Merkel. Ma sarà vero? È possibile che su un aspetto così importante, un ministro faccia una dichiarazione a cuor leggero senza averla almeno condivisa ai massimi vertici?

La storia. Non va dimenticato che era stato proprio Walfgang Schauble, l’ex ministro delle Finanze tedesco, il nemico più acerrimo dell’idea di assicurare a livello europeo i depositi di tutti i cittadini dell’Unione. Proprio poco prima della scadenza del suo mandato Schauble ha realizzato un documento: Non-paper for paving the way towards a Stability Union, in cui evidenziava i tre punti imprescindibili su cui costruire un possibile ombrello di tutela europea ed erano punti di difficile applicazione per i sistemi bancari più deboli. Schauble e neanche poi Scholz si è mai soffermato sui problemi delle banche tedesche, soprattutto non si sono mai preoccupati di parlare nè di titoli tossici presenti per miliardi nei portafogli delle più grandi banche tedesche, né del rischio di leva praticato dagli stessi istituti.

Il predecessore di Scholz aveva, invece, più volte dichiarato con estrema fermezza, come non ritenesse giusto che la Germania si accollasse il rischio di dover ripagare i cittadini di altri stati dell’Unione che non rispettavano i parametri di solidità bancaria e di stabilità del debito pubblico. In un modo o nell’altro i riferimenti, soprattutto alla situazione italiana, erano sempre molto chiari. Ecco perché oggi meraviglia ancor di più l’apertura di Scholz. Cosa è cambiato da allora? Il ministro delle finanze tedesco ha parlato dell’importanza di completare il processo di unificazione bancaria soprattutto in vista della Brexit, ma onestamente, non appare come una falsa motivazione? E allora cosa è cambiato davvero? Ed è vero che non ci sia una concertazione sul tema all’interno del governo tedesco?

Nuove regole: nuove penalità per le banche italiane. Olaf Scholz non si è limitato alla semplice proposta di adozione dell’assicurazione sui depositi a livello europeo, ma ha fissato anche dei parametri molto dettagliati, perché questa possa realizzarsi, parametri che non sono per nulla favorevoli alle banche di casa nostra. Il ministro tedesco ha infatti fatto capire che tutto sarebbe subordinato al raggiungimento di una serie di step che imporrebbero ancora forti cure dimagranti, dal punto di vista degli utili, a molte banche del sud-Europa. In particolare si richiederebbe ancora una forte riduzione dei “crediti deteriorati” che nelle casse delle banche italiane rappresentano ancora una voce di rischio. In più quello dei crediti deteriorati è un tema quasi esclusivamente italiano ed è un tema esploso dalla forte crisi scaturita nel nostro Paese a causa della stretta fiscale determinata dal governo Monti. Ma non dimentichiamo da dove arrivava la forte richiesta di austerità piovuta sull’Italia in quegli anni. Non dimentichiamo le lettere di richiamo continue che arrivavano dall’Unione all’Italia sui conti pubblici.

Numeri alla mano, prima dell’arrivo del commissariamento di Monti i crediti deteriorati per le banche italiane erano ancora su valori fisiologici. L’esplosione è arrivata dopo, quando l’eccesso di austerità e di aumento dei parametri di fiscalità hanno fatto collassare i conti di imprese e famiglie. Quella condizione di sfiducia è sfociata a fine 2015 e negli anni successivi nei fallimenti bancari che hanno messo a dura prova la tenuta emotiva di milioni di risparmiatori italiani che hanno perso masse enormi di denaro tra azioni azzerate ed obbligazioni subordinate non rimborsate. In realtà, al di là di situazione al limite della legalità di alcuni banchieri italiani finiti sotto inchiesta, il sistema bancario italiano, fino ad allora si era dimostrato sufficientemente solido e gli unici errori che erano stati fatti erano più di prospettiva, più di incapacità nella lettura dello sviluppo tecnologico-digitale, che speculativi o legati al tema della finanza creativa che aveva travolto prima il sistema bancario americano e poi buona parte di quello europeo, anche e soprattutto tedesco.

Eppure le banche italiane sono finite sul banco degli imputati ed i risparmiatori ne hanno pagato e ne continuano a pagare le conseguenze. Questa è storia. Ma nonostante tutto, le banche si sono rialzate e, in silenzio, in questi anni, hanno fatto uno splendido lavoro di pulizia di crediti deteriorati. Del resto basta far riferimento all’ultimo report del mese di ottobre di ABI per comprendere quanta strada in questa direzione sia già stata fatta.

(Da ABI Monthly Outlook ottobre 2019)

QUALITÀ DEL CREDITO

Le sofferenze nette ad agosto 2019 si sono attestate a 32,5 miliardi di euro, in calo rispetto ai 40,5 miliardi di agosto 2018 (-8 miliardi pari a -19,8%) e ai 65,6 miliardi di agosto 2017 (-33,1 miliardi pari a -50,5%). Rispetto al livello massimo delle sofferenze nette, raggiunto a novembre 2015 (88,8 miliardi), la riduzione è di oltre 56 miliardi (pari a -63,5%). Il rapporto sofferenze nette su impieghi totali si è attestato all’1,87% ad agosto 2019 (era 2,36% ad agosto 2018, 3,84% ad agosto 2017 e 4,89% a novembre 2015). Ma vendere crediti deteriorati non è un gioco da ragazzi. Un credito deteriorato rappresenta un prestito non restituito. Immaginiamo un mutuo da 100 mila euro che non rientra. La banca cede (vende) quel credito a terzi (società specializzate nella gestione degli stessi) che naturalmente lo acquisiscono per un valore inferiore a quello iniziale, ad esempio 60 mila. Quindi la banca in questione per liberarsi di quel credito deteriorato, che lei non può più gestire, avrà una perdita in bilancio di 40 mila euro. Si tratta di un lavoro di cesello e di trattative lunghe per perdere meno possibile. Ma se si fosse costretti ad accelerare le vendite? Cosa succederebbe in questo caso? Quante perdite verrebbero generate dal recupero frettoloso dei 32,5 miliardi rimasti?

Ma non basta. Il ministro delle finanze tedesco chiede anche di affrontare il rischio legato ai titoli di stato. E questo apre un altro fronte delicatissimo sia per le banche di casa nostra che per il “sistema Paese”. Senza temere di essere smentito, basta prendere i dati del 2011-2013, proprio dalla Germania arrivò l’ordine, alle proprie banche, di vendere titoli di stato italiani quei titoli che, se non fossero stati riacquistati proprio dalle banche di casa nostra, senza acquirenti, avrebbero rischiato di determinare una situazione di estrema difficoltà per i conti del Paese. E ora Olaf Scholz dichiara che: “I titoli sovrani non sono un investimento privo di rischio. Le banche dovrebbero prevedere un accantonamento per i rischi derivanti dal debito sovrano entro un periodo di transizione appropriato”. Quali sono le banche più esposte anche in questo caso? Quelle italiane soprattutto per i motivi che ho detto prima.

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