Contratti a tempo: lo Stato può, i privati no

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Il governo ha intenzione di assumere, a tempo determinato, circa venticinquemila (avete letto bene) dipendenti. Giovani preparati, si spera, per aiutare la pubblica amministrazione nel difficile compito di rispettare i paletti del Recovery. La cosa si potrebbe guardare sotto tanti profili. L’unico datore di lavoro al mondo, riteniamo, che riesca a mettere in piedi un piano di assunzioni di questa entità è la florida pubblica amministrazione italiana. Non i giganti del web, non le profittevoli multinazionali dei pacchi, no.

Nulla di strano in fondo: più aumenta il ruolo della Bestia statale e più ha bisogno di portatori di acqua. Tanto poi a pagare non sono coloro che decidono le assunzioni, ma chi le subisce: e cioè i contribuenti. In fondo però tutti brindano: un posticino oggi, nella roulette dei concorsi, può capitare al nostro amato cuginetto.

Ma, dicevamo, l’aspetto più singolare e in una certa misura rassicurante per chi ha timore di gonfiare indefinitamente la spesa pubblica, è che queste assunzioni saranno a tempo determinato. Lo Stato si impegna ad assumere e «precarizzare», come va di moda dire nel gergo sindacale, qualche migliaio di giovani laureati. Nessuno fiata: non i liberali che dovrebbero avere un po’ di allergia per l’espandersi della macchina pubblica, né la sinistra sindacale che dovrebbe essere preoccupata del lavoro a scadenza.

Stupisce inoltre che a decidere questa infornata siano quelle stesse forze politiche che nel primo esecutivo Conte vararono l’infausto decreto Dignità: una mostruosità con cui si tendeva in tutti i modi a scoraggiare i privati ad assumere a tempo determinato. Si imponevano loro condizioni diaboliche: tipo quella di indicare causali di temporaneità dell’impiego che reggessero alla prova del giudice del lavoro. E penalizzazioni fiscali di tutti i tipi.

Insomma per farla breve se un privato prova ad assumere a tempo, viene fucilato. Ma se a stabilire un lavoro a tempo è lo Stato, non ci sono problemi. È una gigantesca bolla di ipocrisia ed incoerenza. In pochi ricordano la storia dei circa 2.500 navigator. Soltanto alcune menti brillanti potevano pensare che costoro potessero trovare lavoro a chi disperatamente lo cerca. Ovviamente non sono riusciti nell’intento. E il loro contratto com’era? A tempo, of course. Dovevano tornare a casa il trenta aprile. Ecco arrivare un nuovo decreto, quello Sostegni, che li ha prorogati nel loro inutile (non già per colpa loro, sia chiaro) posto di lavoro fino alla fine dell’anno. Una mancetta, a spesa dei contribuenti.

Quale sarà il governo che avrà il coraggio di togliere la spina? Nessuno c’è da scommetterci. Così come nella scuola. I sindacati calcolano ben 100mila docenti e bidelli (si può ancora dire?) precari. Figli di tante mini-manovre, concorsini, titoli, graduatorie e diavolerie varie che hanno creato aspettative e debiti morali.

Davvero qualcuno crede che fra cinque anni, i venticinquemila di oggi verranno mandati a casa, con una pacca sulla spalla, ringraziati per il lavoro svolto per il Recovery? Non prendiamoci in giro. Andranno a sommarsi alla schiera del precariato pubblico, ai lavori socialmente utili, ai forestali a tempo, ai navigator, ai supplenti. Ci sarà qualche immissione a ruolo e andiamo avanti così.

In attesa della prossima norma che obbligherà gli artigiani ad assumere a vita, imporrà ai baristi di contrattualizzare anche i figli che servono al bar e alle società di delivery di assumere come dipendenti i fattorini. I privati non possono fare contratti a tempo, ci pensa già lo Stato.

Nicola Porro, Il Giornale 5 giugno 2021

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