Ho finalmente capito perché l’amico Aldo Canovari, il geniale inventore di Liberi Libri, ci tenesse tanto. Contro l’empatia, scritto da Paul Bloom, ed edito dalla casa editrice di Macerata, è semplicemente un libro da non perdere. In fondo è un testo che ha soli tre anni dalla sua edizione originale, ma deve entrare nella libreria liberale, sugli scaffali che contano.
Bloom è un esperto di psicologia e ha scritto per molte riviste scientifiche e anche meno, come il liberal New Yorker. Ma come lo stesso Bloom ammette ciò non ha impedito a molti suoi detrattori di definirlo un ordocapitalista, un libertario spinto e via dicendo. La sua tesi, magnificamente riassunta nelle prime pagine da Michele Silenzi è che “l’empatia ha un aspetto positivo nella fruizione dell’arte e, talvolta, nei rapporti intimi. Il problema si pone, invece, quando l’empatia viene usata per capire e prendere decisioni ai casi più complessi, che sono poi i casi politici, sociali ed economici”.
Bloom “paragona l’empatia ad un riflettore del palcoscenico che riesce a illuminare con forza solo una piccola porzione della scena, facendosi credere che ciò che vediamo sia tutto ciò che c’è lasciando il resto in ombra”. Pensate un attimo ad alcune delle recenti battaglie socio-politiche da destra a sinistra, dal salvataggio degli immigrati alla difesa dei contratti a tempo indeterminato. Solo per citarne alcune. E ditemi se non vi riconoscete in queste parole: “L’empatia è faziosa, di parte. Ci spinge verso il campanilismo e il razzismo. E miope, motivando azioni che potrebbero rendere le cose migliori nel breve periodo ma portare a risultati pratici negativi in futuro. E incapace di fare i calcoli, favorendo l’uno rispetto i molti. Può generare violenza perché l’empatia per quelli vicini a noi è una forza potente che può motivare guerre e atrocità verso gli altri”.
Nel secondo e nel terzo capitolo del libro queste affermazioni che possono sembrare apodittiche e certamente poco “empatiche” vengono suffragate da decine di esperimenti psicologici molto interessanti, e vi accorgerete come il “problema dei riflettori non sia solo il loro fuoco stretto, ma anche il fatto che illumini solo ciò su cui è puntato”.
La conclusione è che “essere contro L’empatia non significa che dovremmo essere ingiusti e immorali… e se vogliamo rendere il mondo un posto migliore ci riusciamo meglio senza empatia”. Leggete il libro e tutto vi sarà più chiaro: fate funzionare il cervello più che il cuore. Nonostante lo slogan oggi non sia così si moda.
Nicola Porro, Il Giornale giugno 2019