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Contro l’ipocrisia del Giorno della Memoria - Seconda parte

Molti sono gli ebrei, me compreso, e scrivo solo a nome di chi la pensa come me, che sono dell’idea che se così deve essere è meglio annullarla questa ricorrenza. Noi ebrei non abbiamo bisogno che altri si sentano obbligati a commemorare i nostri morti, chi lo vuole fare sarà sempre benvenuto in tutti i musei che negli anni siamo riusciti a costruire in ogni angolo di mondo, musei dove oltre ai reperti viene conservata la memoria di ciò che la belva umana è stata capace di concepire. Noi ebrei non abbiamo bisogno di un giorno internazionale, perché il nostro giorno del ricordo lo abbiamo già: tutti i giorni dell’anno.

Perché non c’è giorno che, almeno per un istante, il nostro pensiero non vada ad Auschwitz, Groß-Rosen, Stutthof, Mittelbau-Dora, Buchenwald, Bergen-Belsen, Flossenbürg , Sachsenhausen, Dachau, Ravensbrück, Neuengamme, Mauthausen e alla Risiera di San Sabba.

Mentre il nostro giorno unitario del Ricordo cadrà sempre, secondo il calendario ebraico, a dieci giorni dalla festa dell’Indipendenza dello Stato di Israele che è ancora oggi, soprattutto oggi, l’unica vera polizza sulla vita alla quale ogni ebreo del mondo, non importa quale sia la sua cittadinanza, può aggrapparsi. Perché gli ebrei hanno seguito gli insegnamenti di Vladimir Evgen’evič Žabotinskij, il capofila del revisionismo sionista, che disse: “Ebrei imparate a sparare”.

Se ci vedesse oggi Vladimir Evgen’evič Žabotinskij sarebbe fiero di noi, perché non abbiamo solo imparato a sparare, ma anche a pilotare aerei, a far navigare le navi e, soprattutto, a non delegare a terzi la nostra difesa e sicurezza.

Michael Sfaradi, 30 gennaio 2020

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