Un mix di terrorismo, allarmismo e disastro imminente. Questo il clima che serpeggia all’apertura della Cop29, la conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), tra retorica impetuosa, appelli urgenti e promesse di cooperazione. 51 mila partecipanti accreditati a Baku, in Azerbaigian, Paese ricco di idrocarburi e che celebra il petrolio. Non sono infatti mancate le polemiche sulla sede della kermesse, considerando che le autorità azere stanno perseguendo e hanno arrestato diversi attivisti dell’ambiente. Ma si tratta solo di una delle tante contraddizioni del mondo green, pronto a tutto per salvare il pianeta dal cambiamento del clima senza però interrogare i diretti responsabili dell’emergenza, Cina e India in primis.
Si parte dagli accordi di Parigi, che impegnano il mondo intero – o almeno questa è la speranza – a limitare il riscaldamento globale a 2°C e a proseguire gli sforzi per mantenerlo a 1,5°C, rispetto alla fine del XIX secolo. “Dimostrare che la cooperazione globale non è in stallo” è l’obiettivo fissato dall’Onu, ma attenzione alle già citate profezie di sventura. Basti pensare alle parole della segretaria generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (World meteorological organization) Celeste Saulo: “Le precipitazioni e le inondazioni da record, i cicloni tropicali in rapida intensificazione, il caldo mortale, la siccità incessante e gli incendi violenti che abbiamo visto in diverse parti del mondo quest’anno sono purtroppo la nostra nuova realtà e un assaggio del nostro futuro”. Da qui la necessità di idurre le emissioni di gas serra e di rafforzare il nostro monitoraggio, intensificando il supporto all’adattamento ai cambiamenti climatici attraverso servizi di informazione e di allerta precoce. “Siamo sulla strada della rovina. E questi non sono problemi futuri. Il cambiamento climatico è già qui” è invece l’allarme del presidente azero della Cop29 Mukhtar Babayev.
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Al centro di ogni discussione ci sono i soldi, come sempre. I prossimi giorni serviranno a decidere quanto denaro sborsare per il clima: centinaia di miliardi di euro – se non migliaia di miliardi – per aiutare i Paesi in via di sviluppo costretti a passare dai combustibili fossili all’energia pulita, così da “compensare i disastri climatici innescati dall’inquinamento delle nazioni ricche”. Il solito ritornello, le solite chiacchiere.
Insomma, si tratta di un appuntamento importante per il clima, eppure a Baku saranno assenti molti leader. Se l’Europa ha promesso di voler raddoppiare gli sforzi, mancheranno all’appello diversi volti di spicco: assenti sia Emmanuel Macron che Olaf Scholz. Non parteciperanno al vertice nemmeno il presidente brasiliano Lula – ospite della Cop30 il prossimo anno – e il presidente colombiano Gustavo Petro. Ma l’attenzione è in realtà rivolta a chi non è ufficialmente presidente come Donald Trump: il tycoon, reduce dalla vittoria contro Kamala Harris, è pronto a tracciare un solco.
Secondo quanto anticipato dal Wall Street Journal, Trumpfirmerà un ordine esecutivo che ritirerà gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima e potrebbe farlo già nel suo primo giorno alla Casa Bianca. I collaboratori del tycoon sarebbero già al lavoro per redigere le bozze dei decreti. Non sarebbe una grossa sorpresa: Trump ha sempre rimarcato di non voler vincolare gli Stati Uniti ad alcuna riduzione delle emissioni di gas serra o ad altri impegni per il clima. Una linea diametralmente opposta rispetto a quella di Joe Biden, che nel suo primo giorno nello Studio Ovale aveva riportato Washington nell’accordo siglato nell’era Obama.
Franco Lodige, 11 novembre 2024
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