Se non ho sbagliato il calcolo, oggi, 17 maggio, siamo al 192mo giorno di coprifuoco. Questa settimana, se il “sovrano” graziosamente vorrà, forse verrà decisa la restituzione di un’ora di libertà (o forse due, chissà) a partire da lunedì prossimo, quando saremo giunti al 199mo giorno di rientro anticipato in caserma (pardon, a casa).
Siamo in presenza di un divario impressionante tra l’enormità di quello che ci è stato sottratto e l’esiguità – starei per dire: ridicola – di quanto ci verrà restituito. Eppure, per tutto il weekend, non ci siamo fatti mancare il relativo dibattito politico, con il tentativo del solito ministro Roberto Speranza di transennare e centellinare ancora l’eventuale minima concessione, di renderla ancora più omeopatica, liofilizzata, rateizzata.
La domanda è: come siamo potuti arrivare a questo punto di subalternità? Come abbiamo potuto accettare quello che è successo?
La spiegazione più semplice è che la paura abbia giocato un ruolo determinante: un popolo terrorizzato (un po’ dall’epidemia, un po’ dal suo uso politico e mediatico) può cadere con facilità in trappole di questo tipo. Finendo per considerare accettabile, e anzi persino “naturale”, ciò che invece avrebbe dovuto sin dall’inizio farci sobbalzare sulla sedia.
A che è servito aver vinto la Guerra Fredda, esserci emozionati per la caduta del Muro nel 1989, se poi – senza fare una piega – abbiamo accettato un livello di intrusione delle autorità pubbliche nella vita personale che avrebbe creato imbarazzo perfino a Berlino Est? E a che serve contrapporci oggi alla Cina se, senza colpo ferire, in gran parte del nostro Occidente abbiamo accettato l’imposizione di formule costrittive (il lockdown alla cinese, appunto) concepite per modelli dittatoriali, per società in cui la libertà personale e civile è sistematicamente sacrificata rispetto al bene e alla volontà del Partito?
Please, anche noi (pochi) liberali e libertari: smettiamola di dar la colpa ai pur insopportabili televirologi del panico. Loro sono solo il termometro di una febbre dalle cause più profonde. In un sistema minimamente dotato di anticorpi, al primo tentativo di un medico di zittire gli interlocutori politici, di dettare regole sulla vita pubblica, qualcuno si sarebbe immediatamente fatto carico di ricompitare regole perfino elementari: “advisers advise, ministers decide”. I consiglieri, i consulenti, gli esperti, possono al massimo dare un parere: ma poi tocca ad altri, a chi è scelto dai cittadini, decidere e bilanciare le esigenze.
Ma proprio qui casca l’asino (cioè noi, sia chiaro). Dal tragico 2011, dalla caduta del governo Berlusconi (che, piaccia o no, era derivato da un voto popolare), accettiamo senza soluzione di continuità governi che, pur formalmente espressi dal Parlamento nel rispetto delle regole costituzionali, non hanno alcuna parentela con il voto dei cittadini. Anzi, sono concepiti per bypassare l’esigenza di uno scrutinio popolare, oppure per “correggerne” i risultati evidentemente ritenuti “imperfetti”.
Una volta avvenuto questo cedimento, una volta accettato che il kratos possa essere esercitato in modo sempre meno legato al demos (sia pure, lo ripeto ancora, formalmente rispettando la lettera della Costituzione e le procedure parlamentari), il resto è un gioco da ragazzi. La perdita della libertà era un esito prevedibile: e sarà sempre più difficile riconquistarla davvero, senza schermi e senza “giurie di qualità” e “sinedri semitecnici” che pretendano di decidere sul nostro destino.
Daniele Capezzone, 17 maggio 2021