Questo giornale ha scritto nel dna e nel suo titolo l’orgoglio di parlare «fuori dal coro».
Si può pensare che passati gli anni ’70, quelli del conformismo di sinistra, oggi sia meno attuale stare dalla «parte sbagliata», cioè quella giusta. Mettiamo insieme tre casi, diversissimi tra loro, che ci fanno capire come il pensiero unico sia ancora dominante.
Ieri si è saputo che i tre tenori del Volo, che godono di grande successo in giro per il mondo sulla scia di Pavarotti & Friends, si sono rifiutati di cantare alla cerimonia di insediamento di Donald Trump. Il loro manager, a differenza di quanto è avvenuto per Bocelli che pure si è rifiutato, ha fatto dire loro: «Non siamo d’accordo con le sue idee, non possiamo appoggiare chi si basa su populismo oltre che su xenofobia e razzismo». Trump è la bestia nera del politicamente corretto. E forse solo per questo ci piace, eccome.
Stefano Gabbana, uno dei pochi uomini coraggiosi dello star system, non si è fatto invece intimidire e si è congratulato con Melania Trump che aveva comprato un suo vestito. Il resto del giretto della moda e del cretinismo della rete lo ha apertamente criticato. Trump non deve essere «cantato» e «vestito».
Chi ha sempre sparato sull’attuale presidente americano è il superboss della Apple, Tim Cook. Come gran parte, ma non tutta, della Silicon Valley che ha il portafoglio a destra, ma il pensiero a sinistra. Che duri e puri sono stati con l’Fbi, ostacolandola nello sbloccare un iPhone di un terrorista.
Ottimo, ben fatto: i diritti individuali prima di tutto. Ma come la mettiamo col fatto che la stessa Apple ha accettato la censura (la parola non è usata a sproposito) del governo cinese e ha dunque cancellato dalle applicazioni scaricabili da suo sito cinese, quella del New York Times, il cui foglio non è gradito a Pechino? Rispettiamo le regole locali, dicono a Cupertino. Ah sì? In America con l’Fbi sono sembrati più intransigenti.
Come sempre, in questo mondo, conta solo stare dalla «parte giusta». Susanna Camusso fa un referendum contro i voucher (il cui utilizzo ha fatto emergere molto lavoro nero) e i suoi associati li usano come nulla fosse. D’altronde la Cgil prima dei voucher, ha subito molte cause proprio da parte di dipendenti che hanno dichiarato di avere lavorato in nero per il sindacato rosso.
I tenori che non cantano per un «populista», la Apple che si piega a un «regime», e la Cgil che «sfrutta i voucher» rappresentano le diverse note della stessa musica: per questo conviene restare fieramente, e ancora, fuori dal coro. Anche se eseguito bene, da tre tenori, che fino a ieri ci sembravano controcorrente.
Nicola Porro, Il Giornale 7 gennaio 2017